di Giuseppe De Bellis
Bill De Blasio è entrato nella storia di questo 2013 come un marziano. Perché ha un compito difficile e quasi proibitivo: raccogliere l'eredità di Michael Bloomberg e continuare a mantenere il livello di qualità della vita e di dinamismo che il sindaco uscente di New York ha dato alla Grande Mela. Culturalmente e politicamente De Blasio è l'antitesi di Bloomberg. Lo si sapeva e chi non lo sapeva l'ha capito il giorno della sua elezione: «Punteremo agli ultimi, non lasceremo indietro nessuno». Bloomberg ha puntato sui ricchi pensando che il denaro avrebbe aiutato l'intera New York, a cominciare dai poveri. Ha vinto: nei suoi mandati la Grande Mela ha avuto una prosperità complessiva che non aveva raggiunto prima, ha dimezzato i crimini, ha aumentato gli spazi verdi, ha persino tenuto a bada i prezzi del mercato immobiliare, schizzato sì per il lusso, ma rimasto sostanzialmente invariato per gli altri.
De Blasio rappresenta però quella New York che si vergogna della sua ricchezza. Si sente in colpa. Sarà un buon sindaco? È la domanda che tutti si fanno in America e non solo perché New York è una città patrimonio dell'umanità e il suo destino è spesso direttamente proporzionale allo stato di salute dell'intero Occidente.
Per quanto riguarda il sindaco, ovviamente l'elezione gli ha dato una grandissima notorietà. Non è che ci fossero molti dubbi sulla sua elezione. I giochi erano fatti già prima, ma quando Bill ha spinto il figlio caffelatte con una pettinatura afro gigantesca a fare uno spot a favore di papà, non c'era più trippa per gatti. La moglie afroamericana, poi, era lesbica dichiarata prima d'incontrare il marito: una manna per il correttismo politico modaiolo. Che De Blasio si chiamasse in verità Wilhelm, che ha respinto il nome del padre d'origini tedesche, reduce, alcolista e malato di cancro suicida, non fregava niente a nessuno. Così come non passava che Lhota, il suo sfidante repubblicano era ceco con eque ascendenze italiane ed ebree, figlio di un poliziotto, nipote di un pompiere, il primo della famiglia a laurearsi. E poi c'è la legge non scritta della politica americana: dopo vent'anni di chicchessia, «It's time for a change»: è ora di cambiare. Un sindaco eletto coi voti repubblicani prima e candidatosi da indipendete poi come Bloomberg avrebbe dovuto essere rimpiazzato per forza. Hanno vinto i democratici per assenza di competizione e per scarsezza del candidato avversario, ma anche perché New York è profondamente liberal: nel Novecento, gli unici repubblicani eletti sindaco sono stati l'adorato e mitico Fiorello LaGuardia (1934-45) e John Lindsay (1969-73). De Blasio è parte di una tradizione politica.
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