Il sindaco di Né protesta per la legge sui repubblichini

Non gliel'hanno detto a Cesare Pesce, primo cittadino di Ne, che al Senato quel disegno di legge era già stato decalendarizzato. Quello che vuole riconosciuti i Repubblichini come forze belligeranti. Quello che chiede che i distretti militari provvedano ad annotare sui fogli matricolari il relativo servizio prestato, che magari ci scappa pure la pensione. Roba da non dormirci la notte. Tant'è che sindaco e giunta scrivono al Presidente della Repubblica Ciampi, ai presidenti di Senato, Camera, Regione e Provincia spiegando di avere appreso che il Senato dovrebbe riconoscere il Ddl suddetto e loro «in quanto democratici e antifascisti protestano e invitano gli altri consigli comunali a mobilitarsi per impedire grave offesa alla nostra storia e a chi è morto per la nostra libertà».
Peccato che la conferenza dei capigruppo avesse già disposto la non discussione nell'aula romana, lasciando spazio a disegni più urgenti. È così che la lettera diventa un anacronismo, mancando l'obiettivo per pochi giorni. Pesce sembra stupito, ma allarga il discorso, ci mette dentro ideali e retaggi e torna a bomba: «In effetti non lo sapevo - conferma - Ma, al di là dei lavori parlamentari, il nostro ha voluto essere un gesto politico e nasce sulla scorta delle prese di posizione di altri comuni in merito alla questione. È assurdo affiancare partigiani e repubblichini. Nella nostra valle lo ricordano ancora bene cosa hanno fatto quelli di Salò».
Giusto, inutile sottilizzare sulle date del paventato disegno di legge. Che la lettera l'avrebbero scritta lo stesso. Che lo sdegno sarebbe arrivato al mittente puntuale come sempre. Marco Pirina, storico e direttore del Centro Studi e Ricerche Storiche Silentes Loquimur di Pordenone, la chiama «sindrome dell'8 settembre, che dal '43 divide gli italiani in buoni e cattivi, impedendo una memoria condivisa».
Pirina torna ad insistere: «Non è possibile che chi crede nella forza della libertà costringa nel ghetto centinaia di migliaia di ex combattenti della RSI e i loro familiari». Se la sente sulla pelle quella che chiama discriminazione. La sente quando pensa a suo padre, ufficiale del Regio Esercito, «che combatté accanto all'alleato tedesco, in Grecia e Africa Settentrionale, ferito e mutilato.

Che scelse di rimanere fedele alla battaglia iniziata, finendo nel luglio '44 con un colpo alla nuca, sparato da un connazionale che aveva scelto diversamente». Lo stesso che qualche anno fa gli confermò: «Suo padre è morto da eroe… se fosse stato nelle nostre file… gli avremmo dato la medaglia d'oro…».

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