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Il sindaco Pd brucia i 4 miliardi per L'Aquila

L'inchiesta sul dopo terremoto: il governo ha stanziato da due anni i fondi per la ricostruzione del centro storico, ma Cialente sta paralizzando i lavori per una guerra di carte bollate con gli uffici tecnici. E i proprietari delle case rischiano di non ricevere più i risarcimenti

Il sindaco Pd brucia i 4 miliardi per L'Aquila

nostro inviato a L’Aquila

E poi dicono che la colpa della mancata ricostruzione del centro storico dell’Aquila è colpa del satrapo di Arcore. Sentite qua: da quasi due an­ni il governo ha stanziato quattro miliardi di euro che a tutt’oggi,però,giacciono inu­tilizzati per una fantozziana controversia fra il sindaco Pd de l’Aquila, Massimo Cialen­te (quello che strepita ogni due per tre contro l’esecutivo Berlusconi) e Gaetano Fonta­na, braccio tecnico-operati­vo per il rifacimento della cit­tà terremotata, coordinatore della cosiddetta Struttura tec­nica di missione.

LA BATTAGLIA IDEOLOGICA
Quattro miliardi benedetti, che andavano (vanno) spesi tutti e subito così da richieder­ne poi altrettanti e altri anco­ra. Soldi bloccati con argo­mentazioni capziose dal pri­mo cittadino che si ostina a non attuare quanto previsto dalla legge, deciso com’è a far valere le sue ragioni, che pre­vedono altre soluzioni, meno risolutive e solo apparente­mente più rapide. Per capire a che livello di schizofrenia arri­vi talvolta la politica occorre circumnavigare a piedi la par­te nobile della città sventrata dal sisma il 6 aprile 2009: silen­zio mortale, qualche soldato di guardia ai varchi, cani ran­dagi e topi a spasso fra le mace­rie. Se le new town in periferia sono state tirate su a tempo di record, in centro non si muo­ve paglia. Niente. Le gru fer­me, nessun sospetto d’inizio lavori nei palazzi puntellati co­me i bastoncini dello shan­ghai. Il perché di quest’impas­se è folle, ed è presto detto: da tempo, perché così dispone il decreto legge 39/09 (articolo 14,comma 5 bis)l’amministra­zione comunale guidata da Massimo Cialente avrebbe do­vu­to predisporre un vero e pro­prio «piano di ricostruzione» del centro storico. Ovverosia un dettagliatissimo piano glo­bale di ripristino della parte più antica della città, con mi­gliorie e/ o abbattimenti dei pa­­lazzi pericolanti, con interven­ti non a se stanti (palazzo per palazzo, chiesa per chiesa) ma da considerare in un «uni­cum » nella ricostruzione di tutto il centro.

COSA IMPONE LA LEGGE Forse non tutti sanno che la ricostruzione leggera e pesan­te della periferia della città ha discriminato tra prima e secon­da casa, prevedendo per que­st’ultima stringenti limitazioni al risarcimento dei danni a cau­sa dell’inserimento di un tetto massimo di 80mila euro,tra l’al­tro concesso per una sola volta e solo in presenza di utilizzo professionale o commerciale dell’immobile (cioè se nello sta­bil­e vi è effettivamente una par­tita Iva). Per il centro storico, in­vece, la distinzione tra prima e seconda casa non è prevista dalla legge. Il «centro storico» è pertanto inteso dalla legge co­me un unicum meritevole di tu­tela diretta in ragione del pre­minente interesse pubblico sot­teso al suo recupero. Per sinte­tizzare ancora meglio: il rappor­to che dovrebbe costituirsi tra i singoli interessi in relazione al piano di recupero è lo stesso che intercorre tra «contenuto» e «contenitore», intendendo con il primo la somma aritmeti­c­a dei singoli edifici con il corre­do delle numerose e variegate posizione giuridiche soggetti­ve, e con il secondo l’insieme degli stessi in una logica di in­sieme giuridico, sociale, urba­nistico, architettonico, artisti­co ed economico. Il decreto legge, dunque, prevede l’obbligo di predispo­sizione di questi specifici «pia­ni di ricostruzione », espressa­mente sanciti dalla legge sulla ricostruzione e, se non bastas­se, ribadito dalle note di strate­gi­a redatte dalla Struttura Tec­nica di Missione. Il Comune dell’Aquila, però, del decreto legge non ha tenuto conto. Ha avviato un’ipotesi di ricostru­zione che prevede l’applica­zione diretta dell’attuale nor­mativa dettata dalle diverse or­dinanze della presidenza del Consiglio (buone per le perife­rie) anche ai singoli edifici del centro storico. La ragione per cui il sindaco Cialente sta pen­sando di aggirare l’obbligo dei «Piani» risiede ufficial­mente nel tentativo, invero meritevole, di accorciare i tempi della ricostruzione. Pur­troppo, però, una simile impo­stazione è destinata a creare maggiori danni rispetto a quel­li che tenta di riparare.

OCCASIONE PERSA Il rischio che potrebbe con­cretizzarsi attraverso l’applica­zione diretta al centro storico dell’attuale impalcatura giuri­d­ica dettata dalle numerose or­dinanze, è che singole porzioni di edificio, o addirittura interi palazzi, non vengano recupera­ti per assenza del diritto alla ri­parazione a carico dello stato in considerazione del titolo giuri­dico di possesso (seconda ca­sa). Nel centro storico della cit­tà di L’Aquila sono presenti cir­ca 9 mila immobili; di questi 3mila hanno una destinazione non residenziale, mentre solo 2mila sono prime case e dun­que recuperabili attraverso l’applicazione delle ordinanze che hanno regolato la ricostru­zione della periferia. In questo senso il Piano di Ricostruzione previsto dal decreto legge rap­presenta l’unico strumento in grado di tutelare il centro stori­co proprio perché non discrimi­na tra prime e seconde case. Inoltre esso, proprio perché «piano» urbanistico, potrebbe porsi quale fonte normativa at­traverso cui introdurre, senza far ricorso a strumenti ablatori, disposizioni di salvaguardia che consentano un integrale ri­pristino del tessuto urbanistico anche in presenza di eventuale inerzia dei singoli proprietari.

L’EMERGENZA CONTINUA Le numerose ordinanze post terremoto sono state concepite per garantire una tutela «individuale» ai singoli proprietari di immobili, men­tre il piano di ricostruzione è stato inteso come strumento di tutela del preminente «be­ne pubblico» rappresentato dal «centro storico» nel suo insieme. Va da sé che il diritto di ciascun cittadino di poter fruire nuovamente degli spa­zi pubblici del centro, passa necessariamente attraverso il ripristino della sicurezza statica di tutti i suoi palazzi, proprio in ragione del rischio indotto che un mancato re­stauro di un palazzo potreb­be arrecare all’incolumità pubblica. A ciò si aggiunga che nel centro storico dovran­no inevitabilmente essere ri­fatti anche i sottoservizi (fo­gne, condutture dell’acqua, gas, impianti elettrici) e che gli edifici sono spesso addos­sati l’uno all’altro senza solu­zione di continuità. Qualun­que approccio serio e ragio­nevole non può che passare attraverso il coinvolgimento dell’insieme dei variegati in­teressi, pubblici e privati, in un progetto di sintesi e coor­dinamento tecnico e giuridi­co che, per l’appunto, è stato individuato dal legislatore nel «piano di ricostruzione».

Che se approvato un anno fa, con i quattro miliardi di euro a disposizione, a quest’ora avrebbe già permesso di cura­re le prime ferite del centro storico dell’Aquila.

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