La sinistra che insulta si offende per un «pirla»

Milano«I pirla non sanno di esserlo. Seppure ne fossero informati/ tenterebbero di scollarsi/ con le unghie/ quello stigma». Pare che Eugenio Montale in questa poesia parlasse con la moglie, che si rivolgeva a lui con l’offesa più affettuosa del dizionario milanese. E quel «pirla!», portato a fama più nazional-popolare da Boldi e fratelli Vanzina, è risuonato come in un film nell’aula del Pirellone. A pronunciarlo, non abbastanza sottovoce, Roberto Formigoni.
Il presidente della Regione ha apostrofato così il capogruppo dell’Italia dei valori. Stefano Zamponi lo aveva tirato in ballo come politico «che non ha mai lavorato», oltre a ricordare un processo per diffamazione nei confronti dei Radicali. «Il presidente Formigoni mi ha dato del pirla! Lo sfido a ripeterlo al microfono!» è saltato su Zamponi, che ha addirittura chiesto un giurì d’onore per dirimere la controversia.
«Correggo il termine pirla, lei è un bugiardo, l’offeso e insultato sono io» si è alzato Formigoni, gesticolando come tarantolato. Poi ha elencato tutti i suoi lavori, retribuiti e non: insegnante di storia e filosofia al classico, di italiano allo scientifico e al tecnico, assistente universitario, giornalista in stage a Epoca e alla redazione parigina della France-Press, ricercatore. E con altrettanta dovizia di particolari ha spiegato come due sentenze del tribunale dicano che «a Milano pirla non è un insulto» e ha ripetuto «Oh pirla!». A questo punto la sinistra, Pd, Idv e Sel, ha lasciato l’aula: «Vergogna».
Nonostante poeti, giudici, canzoncine e cinepanettoni abbiano sdoganato il «pirla», il vicepresidente del Consiglio, Carlo Saffioti (Pdl), ha comunque punito Formigoni con una censura. E mancava poco che finisse con guanto a terra e appuntamento all’alba. Segnale chiaro che il nervosismo serpeggia e striscia nei palazzi della Regione Lombardia, dove sono dieci i consiglieri a varia ragione finiti sotto inchiesta. Quasi ogni giorno spunta una nuova ipotesi di reato e in aula si guardano con l’aria di chi pensa (o dice): «Chi sarà il prossimo?». E la sinistra vede arrivare dai tribunali la chance che gli elettori le hanno negato.
Roberto Formigoni, già di prima mattina ai microfoni del Tgcom24, ha detto chiaro e tondo che le sue dimissioni «non stanno né in cielo né in terra». Il presidente della Regione ha invece incassato la richiesta dell’Udc di mettersi alla guida di «una giunta di salute pubblica e di salvaguardia delle istituzioni».
Poi Formigoni ha ironizzato sui tre consiglieri dell’Idv che hanno depositato le dimissioni tra le mani del capogruppo, invece di rassegnarle sul serio: «Si dimettano davvero. Le opposizioni non sono d’accordo nemmeno tra di loro. Oggi il Pd chiede le mie dimissioni ma è lo stesso Pd che dice di tenere duro a Errani ed Emiliano». Formigoni insiste nel sottolineare che la sua posizione è diversa: «Nel resto d’Italia ci sono i numeri uno, presidenti e sindaci, indagati. In Lombardia nessuno dei miei atti è contestato. Devo quindi continuare a tener fede al patto con i cittadini che mi hanno votato».
La maggioranza Pdl e Lega tiene senza scosse e a scrutinio segreto. La mozione che invitava «i consiglieri sottoposti ad indagine a distinguere la loro condizione soggettiva dall’esercizio di funzioni di rappresentanza dell’Istituzioni regionale», questo testo che allude a dimissioni, è stato bocciato. Poco prima era stata respinta una mozione contro l’assessore leghista Luciano Bresciani.

Il capogruppo Pdl, Paolo Valentini, spiega il no («strumentalizzazioni politiche») e conclude sconsolato: «Finirà come in Peter Pan sull’Isola che non c’è: tutti inseguiti dal coccodrillo». E il coccodrillo? «È l’antipolitica».

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