La sinistra che non vuole un manager in Biennale

Lode a Paolo Baratta, presidente uscente della Biennale di Venezia, dopo due eccellenti mandati per un totale di otto anni. A scadenza dell’incarico, conclusosi con le ottime performance della mostra del Cinema e dell’Arte, edizione da record tutt’ora in corso, il ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan ha annunciato ieri di aver individuato il successore in Giulio Malgara, industriale e manager, molto vicino alla realtà veneta, insignito di vari riconoscimenti tra cui il Cavalierato del Lavoro nel 1990 dalle mani del Presidente Cossiga.
Galan è stato chiaro: a Baratta va riconosciuto l’eccellente lavoro svolto. Su questo punto il consenso è bipartisan. L’ex presidente ha saputo muoversi con estrema laicità e senso dell’istituzione, mai scivolando nella polemica politica o nel giudizio partigiano. Pur essendo espressione di un governo di centrosinistra, ha convissuto bene sia con Sandro Bondi sia con l’attuale ministro; tra i suoi maggiori meriti (parliamo per esperienza diretta) l’aver riportato a centralità il Padiglione Italia (sia nell’arte che nell’architettura), mettendo una pezza alla soppressione decisa proprio dalla sinistra che molti hanno rimosso.
In un Paese normale il cambio al vertice sarebbe stato un atto del tutto naturale, senza polemiche né recriminazioni. Non in Italia, dove vige una regola incisa nelle tavole come fossimo ai tempi di Mosé: che il centrodestra non osi avvicinarsi alla cultura! Altrove le nomine mutano nel rispetto delle alternanze, da noi governa comunque la sinistra, almeno quando si toccano settori nevralgici per l’intellighenzia.
Pesano quanto macigni le parole del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che definisce Malgara «inadeguato» a presiedere la Biennale. Perché? Troppo vicino a Berlusconi. La Repubblica - sul suo sito - lo ha subito liquidato come un «pubblicitario», omettendo la carica di presidente dell’UPA, ovvero la confindustria della pubblicità, oltre ai numerosi successi in campo aziendale (in particolare nel settore alimentare) e imprenditoriale (è fondatore dell’Auditel). Non è un uomo che viene dalla cultura, obiettano altri, quindi non degno. Almeno quanto Baratta, che nella sua lunga carriera, oltre a essere stato tre volte ministro, si è occupato principalmente di industria ed economia, ma essendo intelligente ha imparato in fretta a districarsi tra film e opere d’arte.
Il senatore del Pd Giuseppe Vita - parlando peraltro impropriamente di rimozione (che non c’è stata, il mandato è infatti scaduto) - ha commentato: «hanno fatto un ultimo regalo al Presidente del Consiglio e ai suoi amici più cari». Poche ore dopo, nella convulsa giornata di ieri, il Pd si è espresso ufficialmente contro la nomina di Malgara (parlando di «sostituzione incomprensibile») perché, fa intendere, ogni persona avvicinabile a Berlusconi è appestata. E anche Fabio Granata del Fli si è detto contrario alla scelta del ministro. Un altro fronte potrebbe rivelarsi, poi, quello della Lega. Qualche settimana fa, il quotidiano la Padania aveva proposto «Baratta per sempre». Ed è noto quanto il governatore del Veneto Luca Zaja stimi il presidente in uscita.


Sarebbe stato molto meglio plaudire l’operato di Baratta e ringraziarlo per i successi ottenuti, augurando al successore di proseguire e se possibile migliorare la strada tracciata, in una situazione finanziaria gravissima, dove la provata esperienza sul campo può tornare utile a coinvolgere nuovi soggetti economici attorno alla Biennale. Eppure tocca rassegnarci, in Italia, con questa cultura ideologica e faziosa, il concetto di alternanza e pluralismo è di fatto inapplicabile.

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