La sinistra integralista che lincia i suoi «traditori»

Roma«Se il Pd avesse tanti voti quante firme dice di aver raccolto, il centrosinistra avrebbe già vinto le elezioni», sospira Franco Giordano, ex segretario di Rifondazione oggi a fianco di Nichi Vendola in Sel. Elezioni che, aggiunge peraltro, «col cavolo che ci saranno, ormai». E questa, ammette, «per noi è una bella fregatura». Vendola, che già si vedeva candidato premier, rischia di dover restare in Puglia sine die.
E non è l’unico per il quale le cose, senza elezioni, si complicano. Con esiti paradossali: nel giorno in cui Pier Luigi Bersani annuncia trionfalmente che l’obiettivo dei dieci milioni di firme Pd per «mandare a casa Berlusconi» è addirittura «superato», l’idea che il Cavaliere a casa non ci vada neanche stavolta è diventata praticamente una certezza, nelle opposizioni. «Avete fatto bene i conti sull’ultimo voto di fiducia?», faceva notare ieri un malizioso Beppe Fioroni. «Se ai 314 che hanno votato si aggiungono anche i malati reali del Pdl, e i prossimi acquisti ancora in sonno, dall’Mpa ai LibDem, il Cavaliere arriva praticamente a 325». E concludeva con un sarcastico parallelo: «Finirà che a Roma Berlusconi governa fino al 2013 e che a Tripoli Gheddafi sconfigge la rivolta e resta in sella. Hai voglia a raccogliere firme...».
Già, le firme. Fra le altre, spiccano quelle dello stesso Silvio Berlusconi, e poi ecco i nomi celebri, da Karol Wojtyla a Fidel Castro, da Giuseppe Mazzini a Garibaldi, da Moana Pozzi a Benito Mussolini, Hitler e via così di falso in gaffe. Succede ai migliori raccoglitori di firme, solo che il Pd ieri se l’è presa con il Giornale.it, reo di aver svelato l’inghippo e di aver pure provato, con successo, a mettere una firma falsa, dimostrando la mancanza di controlli. Così, la raccolta firme sul sito del Pd è stata sospesa, e il Giornale accusato di istigazione alla firma falsa. Accusa rispedita al mittente: «Ci siamo limitati a fare giornalismo verificando quanto lo stesso Pd ha pubblicato sul sito. Il partito piuttosto chiarisca: è vero o no che nessun documento d’identità era richiesto per firmare la petizione?».
Comunque i 10 milioni ci sono, assicura il segretario del Pd, e l’8 marzo prossimo (festa della donna, ma anche Martedì Grasso) le «prime milionate» verranno consegnate a palazzo Chigi. Ai più scettici la cifra pare mirabolante: «Dieci milioni è grosso modo il numero di voti di cui è accreditato il Pd nei sondaggi - notava poco tempo fa Paolo Flores d’Arcais sul Fatto - e il rapporto tra consenso elettorale e capacità di mobilitazione è di trenta a uno, dieci a uno in casi eccezionali, come sa chiunque, dirigenti Pd compresi. Raggiungere un rapporto di uno a uno in pochi giorni è realistico quanto annunciare di voler sbarcare su Marte stanotte».
Comunque, per quanto i perplessi non manchino neppure nel partito («Ma se abbiamo a malapena 800mila iscritti, come si arriva a 10 milioni?», si chiede un parlamentare), il dato tecnicamente è difficile da contestare: trattandosi di una semplice petizione, non c’è nessuna autenticazione delle firme, raccolte in gran parte via web. Il grosso di quelle cartacee, invece, è arrivato per lo più dalle regioni rosse, con due eccezioni: Roma, dove grazie alla campagna anti-Alemanno se ne sono raccolte 200mila; e - guarda un po’ - la Campania: «Molte firme però erano cinesi», è la battuta che circola. Uno che se ne intende come Marco Pannella, padre di mille referendum, ieri confidava ai suoi che molte delle firme di Bersani «devono essere più o meno come quelle del listino di Formigoni», ossia false. Bersani però ne trae una conseguenza politica opposta a quella affermata in privato dai suoi: «Il nostro successo dimostra che noi abbiamo il consenso e Berlusconi no. Se pensa di averlo lo misuri nelle urne». Ergo: «Si vada a votare, per favore». È un’invocazione sincera: il leader Pd sul voto anticipato aveva puntato tutto, negli ultimi mesi. La petizione anti-Cav è partita, a fine gennaio, in questo spirito: annusata l’aria di urne ravvicinate, col premier infilzato dalle banderillas dei pm a e la maggioranza in decomposizione, Bersani aveva chiamato alla mobilitazione la macchina militante. La raccolta di firme serviva soprattutto, spiega un esponente Pd, come «esercitazione militare, per testare il partito in vista di una campagna elettorale a breve». Alla quale il segretario del partito si sarebbe presentato come candidato naturale e difficilmente aggirabile. La legislatura però non è finita, e la strategia è tutta da ricalibrare: «Non possiamo passare i prossimi due anni in campagna elettorale permanente: ora dobbiamo saper offrire al Paese un’altra idea di Paese, smettere di inseguire pm e dipietristi e attaccare Berlusconi sulle cose concrete: le tasse che aumentano, la crescita che non riparte, le riforme mancate», ragiona Francesco Boccia.
Se Atene piange, Sparta pure non ride. Chi, come Fini, sperava in un redde rationem elettorale per eliminare il premier e saldare l’asse con Casini, ora deve fare i conti con una lunga traversata del deserto, nella quale l’Udc fa capire di voler giocare in proprio. Vendola rischia di perdere il treno.

Gli unici soddisfatti sono i temporeggiatori: Matteo Renzi, che ha sempre ammesso con i suoi di temere elezioni anticipate che ora lo avrebbero tagliato fuori. E, si dice, pure Walter Veltroni, che accarezza il sogno di un gran ritorno. Nel 2013.

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