La sinistra italiana si spacca sulle conseguenze del «no»

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da Roma

Il più disincantato è Marco Pannella che in realtà è a tutt’altro referendum affaccendato: «Cosa vuoi che interessi un referendum sulla burocrazia brussellese... e poi noi radicali da anni andiamo sostenendo che una Ue che dirama leggi e regolamenti per tutti, non può non prevedere un referendum europeo che coinvolga i cittadini del continente». Il più speranzoso, a quanto pare, è invece D’Alema: «Che succede se la Francia boccia la Costituzione? Niente. Si va avanti lo stesso, visto che Nizza resta in vigore, no? Non vedo invece la necessità di mettersi a riscriverne il testo, lo trovo velleitario. E dunque avanti con le altre ratifiche dato che, alla fine, anche la Francia potrà ripensarci». Il più pessimista è Giuliano Amato che valuta «morta per almeno 15 anni la costituzione» nel caso probabile che in Francia prevalgano gli interessi «contabili» che là coltivano non poco. Mentre la sorpresa è costituita dal vice-presidente del Senato, il diessino Salvi che ieri sera - su invito del socialista Fabius - è volato a Parigi per prender parta alla campagna per il “no”.
Costituzione europea. Il terreno dei «diritti» dell’Unione a 25 è a rischio. Parrebbe cosa di poco conto, visto che in effetti i precedenti trattati restano comunque in vigore e che - come rileva la professoressa Claudia Morbiducci, ordinaria di diritto comunitario all’università di Firenze - «si può prevedere comunque la cooperazione rafforzata tra Stati o si può pur sempre permettere alla Francia o all’Olanda di rivotare una volta inserite particolari clausole». Ma in realtà una bocciatura, oltre che segnale negativo di rilievo per l’esterno, ha altri, più concreti rischi da dover mettere sotto una lente d’ingrandimento.
I mercati ad esempio, sono in ebollizione in attesa di lunedì. Un sì farebbe schizzare l’euro alle stelle, un no lo deprimerebbe. E a quel che si mormora non è un gioco che si possa limitare a qualche seduta di borsa come del resto conferma indirettamente il neo-ministro per le Politiche comunitarie Giorgio La Malfa. «Non è grave la possibilità di una bocciatura in sé, quanto il clima che si va creando per via del combinato disposto delle difficoltà del varo della Costituzione, dell’allargamento e specialmente della stagnazione economica. Diciamola tutta: a fine anno si devono fare i conti sull’andamento della strategia di Lisbona che è un po’ l’altra faccia della medaglia di questa Costituzione. Se si dovesse verificare che l’Europa continua a non crescere, temo che i tedeschi, a maggior ragione se la Cdu dovesse prevalere nelle elezioni di settembre, potrebbero essere indotti a rimettere in discussione la politica monetaria, l’euro. Aiutati in questo da un no francese, che io comunque non do ancora per scontato, e da quello molto più probabile, degli olandesi».
Che l’allarme di La Malfa non sia campato in aria lo dimostrano le parole pronunciate all’inizio del mese ad Acquisgrana da Carlo Azeglio Ciampi, cui era stato conferito il premio Carlo Magno. «Tre anni fa, quando il premio fu dato all’euro, ebbi l’onore di parlare e lamentai i danni di non aver fatto seguire all’unificazione monetaria un incisivo coordinamento delle politiche economiche dei singoli Stati. All’adozione della moneta unica - osservava il presidente della Repubblica - non sono seguite decisioni istituzionali e regolamentari per consentire l’indispensabile dialettica costruttiva tra politica monetaria e politica di bilancio...».
Se ne accorsero in pochi di quel monito. Oggi, col referendum francese, torna alla ribalta delle cronache. Non passa giorno che Financial Times o altre testate economiche del vecchio continente non mettano in relazione, oltre alle altre correlate (i rapporti all’interno dell’Unione) le vicessitudini economiche - budget dell’Unione, patto di stabilità, politiche agricole, ma anche il futuro dell’euro - con la consultazione di domenica.

Sembra un paradosso, ma nel momento in cui ti chiedono di votare per un presidente che resti in carica per due anni e mezzo (sostituendo la logica semestrale) e per un ministro degli Esteri comune, ecco che spunta lo spettro della carenza di un plenipotenziario economico unico. Che sappia far prevalere la logica della ripresa sui freddi dati di bilancio che bloccano le spese.

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