Politica

La sinistra è minoritaria: ecco perché l’Unione boicotta il proporzionale

Smascherata la strategia di Prodi & C. Soltanto col maggioritario chi ottiene meno voti può avere la maggioranza in Parlamento. Accadde già nel ’96 e nel 2001 e ora l’opposizione spera nel bis

Alessandro Corneli

N ella battaglia in corso sulla riforma della legge elettorale, l’argomento più politico del centrosinistra è che con la nuova legge elettorale il centrodestra vorrebbe sovvertire il voto degli elettori, facendo vincere chi ha perso: in pratica, facendo ottenere più seggi alla coalizione risultante minoritaria nel voto popolare. Ovviamente dà per scontato di esser maggioritaria nel Paese e per questo prende in considerazione, oltre ai sondaggi, le elezioni successive alle politiche del 2001, trascurando il fatto che, da sempre, le politiche hanno una logica distinta dalle altre consultazioni.
Vogliamo vedere se ha fondamento la tesi che la sinistra sia maggioritaria, non grazie a un’istantanea presa nella luce più favorevole, ma nella fase che va dal tramonto della prima Repubblica a quella che stiamo attraversando. Per verificare se la difesa della legge elettorale attuale non sia invece un modo, per la sinistra, di camuffare la sua condizione minoritaria in termini di voti e, sfruttandola abilmente, tradurla in maggioranza di seggi.
Al voto col proporzionale
Consideriamo anzitutto i risultati delle due ultime politiche svoltesi con il sistema proporzionale, quelle del 1987 e quelle del 1992, tenendo presente che abbiamo considerato come area della sinistra vera e propria i seguenti partiti: Pci, poi Pds, Rifondazione comunista, Verdi e Rete. Come area di centrosinistra il Psi, il Pri, il Psdi e, per queste due elezioni, i Radicali. Come area di centro la Dc e il Pli e, come area di centrodestra l’Msi-Dn e la Lega (due partiti accomunati dalla forte avversione, anche se per motivi diversi, verso il «sistema»). Abbiamo infine evidenziato su sfondo grigio l'area risultante dalla somma del centrosinistra e del centro.
Che cosa suggerisce la tabella «A»? Anche se non era la prima volta che l'area di sinistra sommata a quella del centrosinistra (Dc e Pli esclusi) era diventata maggioritaria (valore 55,3%), il Pci assisteva a una continua e quindi sempre più allarmante regressione: dal 34,4% nel 1976 era sceso al 30,4% nel 1979 e poi al 29,9% nel 1983. Per cui lo spostamento dell'asse politico italiano, con la prospettiva della formazione di una maggioranza di sinistra, rischiava di sfuggire al controllo del Pci e rischiava di passare sotto quello del Psi, il quale viceversa registrava una crescita tendenziale: 9,8% nel 1979, 11,4% nel 1983 e poi un balzo al 14,3% nel 1987.
Crolla il Muro e il Pci
La fine della Guerra Fredda, nel 1989, fu disastrosa per il Pci che, nelle elezioni del 1992, come Pds, perse ben 10,5 punti percentuali mentre l'area di centro e di centrosinistra sostanzialmente teneva, subendo solo in limitata misura il primo impatto politico-psicologico dell'azione di Mani pulite: rispetto al 1987, infatti, quest’area diminuì di 5,4 punti percentuali. Il Pool di Milano decise l'arresto del socialista Mario Chiesa il 17 febbraio, ma il presidente Francesco Cossiga aveva sciolto le Camere due settimane prima, il 2 febbraio, e le elezioni si svolsero il 5 aprile.
Conseguenza: l'area della sinistra più il centrosinistra divenne minoritaria con il 48,4% mentre un balzo fu compiuto dall'area di centrodestra grazie all'affermazione della Lega, che in cinque anni era passata dallo 0,5% all'8,7%. Nel resto del 1992 e poi nel 1993 l’ondata di arresti legata a Tangentopoli provocò un impatto sull'opinione. Così maturò l'avversione per la partitocrazia, già denunziata da Cossiga nel 1991, e la spinta per un cambiamento della legge elettorale.
Nasce il «Mattarellum»
Il 3 agosto 1993 venne approvata la nuova legge (il «mattarellum»: 75% dei deputati eletti con il maggioritario e il 25% eletti con il proporzionale) con la quale si svolsero le elezioni anticipate il 27 marzo 1994 dopo che il 22 gennaio Gianfranco Fini aveva presentato Alleanza Nazionale e il 26 gennaio Silvio Berlusconi aveva annunziato ufficialmente la sua discesa in politica «per fermare le sinistre».
Il Pds intanto aveva cambiato atteggiamento nei confronti di Mani Pulite: dopo una prima fase di riserve, era passato al pieno appoggio poiché i magistrati avevano decapitato i cinque partiti del «centrosinistra organico», aprendo la caccia a questo elettorato che costituiva oltre la metà del totale. Il Pds poteva ritenersi al riparo della bufera dal momento che il 24 agosto 1993 il Pool di Milano aveva deciso di archiviare il caso che riguardava Marcello Stefanini, tesoriere del Pci. Il Segretario del Pds, Achille Occhetto, poteva giustamente parlare di «gioiosa macchina da guerra» poiché, con il nuovo sistema elettorale, nella quota maggioritaria il Pds sembrava destinato a fare il pieno dei seggi, pur avendo ormai un modesto seguito elettorale, che le elezioni di due anni prima avevano fissato al 16,1. Ma la sorpresa fu grande, soprattutto a causa dell'affermazione di Forza Italia e del balzo di An. Come mostra la tabella «B».
Le elezioni del 1994 accentuarono la contrazione dell’area della sinistra più centrosinistra, scesa al 44,2%, nonostante un certo recupero del Pds. Il terremoto giudiziario aveva colpito l’area del pentapartito, ma l’effetto era stato di trasformare in maggioritaria l’area del Polo e del centrodestra, arrivata al 51,1%, smentendo la previsione di Occhetto. Il risultato confermava l'analisi in base alla quale Berlusconi era sceso in politica: la maggioranza degli italiani non è di sinistra.
Meno voti più seggi
Questo ribaltamento dell’orientamento politico degli italiani si confermò e si accentuò nelle successive elezioni politiche (anticipate) del 1996, che produssero un risultato paradossale: mentre l'area del Polo e di centrodestra metteva insieme il 54,1% dei voti, come dimostra la tabella «C», la vittoria in termini di seggi andò all’area di sinistra e centrosinistra che aveva raccolto solo il 43,3%. Effetto clamoroso del nuovo sistema elettorale: la capacità del centrosinistra di sfruttare la nuova legge attraverso il meccanismo delle desistenze (la desistenza più importante fu quella concordata con Rifondazione) e la decisione della Lega di fare il contrario, presentandosi da sola, regalarono al Paese cinque anni di centrosinistra minoritario.
Non sorprende, quindi, il fatto che oggi il centrosinistra sia arroccato sulla difesa del «mattarellum» e abbia impostato la sua strategia elettorale per il 2006 sulla coalizione più vasta ed eterogenea possibile. E non sorprende nemmeno che il centrodestra voglia reagire agli effetti della legge in vigore che, opportunamente gestita, affida il governo allo schieramento maggioritario. Questo effetto, infatti, si è riprodotto anche nelle ultime elezioni del 2001 (tabella «D»), che hanno dato la vittoria in termini di seggi al centrodestra in grado, questa volta, di sfruttare a proprio vantaggio la legge elettorale perché Rifondazione decise di correre da sola. Da notare, infine, che il partito dei Ds tornò praticamente al livello del 1992.
Questo dimostra che solo nel 1994 (anche se in modo imperfetto perché al Senato il centrodestra non conquistò la maggioranza) la nuova legge elettorale ha fatto coincidere maggioranza di voti e maggioranza di seggi. Le forze politiche hanno solo dimostrato di essere più o meno brave a piegare ai loro interessi - cosa del tutto legittima - il «mattarellum», ma così facendo hanno dimostrato che la legge del 1993 è, se così si può dire, flessibile alle logiche dei partiti e quindi dà poca certezza agli elettori di vedere confermata in seggi la loro scelta politica maggioritaria.
Un premio per la stabilità
Per cui il problema che si pone, dopo tre elezioni svoltesi con il «mattarellum», è semplice: come garantire che la coalizione che prende più voti popolari ottenga anche più seggi, e come garantire la stabilità di governo.
Alla sinistra, questi due problemi sembrano non interessare. Ad essa importa solo ottenere più seggi, e potrebbe riuscirci mettendo insieme tutti i partiti, grandi o piccoli, che ci stanno, nonostante profonde differenze storiche, culturali e in ultima analisi politiche. Né la sinistra è interessata alla stabilità di governo in quanto, nella scorsa Legislatura, ne mise in piedi quattro senza battere ciglio.
Al centrodestra, invece, quei due problemi interessano ed esso ha trovato la risposta adeguata con il ritorno al proporzionale ma integrato dal premio di maggioranza, oltre a tre livelli di sbarramento. Con il primo, nessun elettore avrà il mal di pancia per votare un candidato di un partito della coalizione con il quale non si sente particolarmente affine; con il secondo, sarà garantita una sufficiente maggioranza parlamentare per assicurare la stabilità governativa, un bene essenziale se si vogliono portare a termine le riforme di struttura di cui il Paese ha bisogno.
Dal 1994, infine, è scomparsa quella cosiddetta area di centro che abbiamo identificato come somma tra area di centrosinistra e area di centro. Ne è emerso un bipolarismo di coalizione, l'unico realistico che rispecchia una realtà multipartitica che è un dato storico di lungo periodo e che solo con il tempo, e non con un semplice legge elettorale, può essere modificato per imboccare la strada del bipartitismo.

Una strada che la Francia, che ha adottato il maggioritario a due turni da oltre 45 anni, non riesce a percorrere per intero, e che la Germania sembra avere smarrito dopo un lungo periodo di successo.

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