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«La sinistra non c’è più, ora rischiamo»

«La sinistra non c’è più, ora rischiamo»

RomaPresidente emerito Francesco Cossiga, so che mi aspetta al varco.
«Lei vorrebbe che dicessi: l’avevo detto... Non mi faccia così stupido o vanesio. Era nelle cose. Ma è sempre giusto ricordare che il terrorismo cominciò così - magari con una spallata, giocando alla cacciata di un Rinaldini - anche se adesso tutto è diverso. E la minaccia riguarda solo l’ordine pubblico».
Consigli a chi di dovere?
«No, mi pare che la tattica di contenimento che stanno seguendo le forze dell’ordine sia giusta. Altrimenti si aggiungerebbe violenza a violenza».
Però lei a Bologna, dopo la contestazione al segretario della Cgil, Luciano Lama, mica ci andò giù leggero.
«Le ripeto, tutto è diverso. Allora io e Ugo Pecchioli cercammo di convincere Lama a non andare... Lui, socialista in origine e di gran lunga il più bravo, pensò che il suo ascendente e il suo prestigio sarebbero stati una buona corazza. E invece...».
Invece subì uno choc.
«Non se l’aspettava. Neppure salì sul palco che se lo sarebbero mangiato...».
E lei, da ministro dell’Interno, il giorno dopo...
«... mandai i “cingolati”: polizia e carabinieri, senza creare gelosie. Così furono sfondati i cancelli della cittadella universitaria occupata».
L’Autonomia del ’77 non è l’Onda di oggi.
«No, però ha visto? Sono comparsi gli stranieri, i no global e i black bloc, un segnale preoccupante. Attendo con ansia l’intervento del cardinal Tettamanzi o di quel monsignore di simpatie rifondarole, come si chiama... don Gallo».
Anche Rinaldini non è Lama.
«La cosa singolare, se vogliamo, è che uno dei leader più accesi, più estremisti... Guardi il filmato che ho scaricato da Youtube... Lo vede, gli urlano: “Ven-du-to-ven-du-to”...».
Però non sembra un’azione premeditata e militare. Certo sono molto arrabbiati... Colpa del sindacato, forse.
«Certo, un sindacato i cui iscritti sono soprattutto i pensionati non ha più, come dire, una grande rappresentanza».
Gli operai licenziati forse hanno qualche ragione.
«Ci credo, c’è una grave crisi... E non possiamo chiedere ai metalmeccanici di accettare che l’erede del grande movimento operaio nato a Torino, del partitone che dava la coscienza rivoluzionaria alle masse, oggi sia il giovane democristiano Dario Franceschini... Come dar loro torto?».
Poi dice che uno si incavola.
«Voglio bene a Franceschini, uno della nostra nidiata. Un bravo giovane... Voglio dargli un consiglio: si ricolleghi presto con tutti gli extraparlamentari, tanto i furbetti democristiani che stanno con lui perché hanno sul gozzo Berlusconi gli resteranno vicino. Prenda lui in mano la bandiera rossa e riaccenda la fiamma della lotta di classe».
Ironia a parte, è una nemesi per la sinistra: due opposizioni capeggiate da ex dc, Di Pietro diceva di votare Dc, un governo che si richiama alla destra dc e al Ppe... Avete stravinto.
«Un attimo, però. Molti si meravigliano a pensare che l’Udc possa considerarsi un partito di destra. In realtà, va precisato che si tratta di una destra illuminata, così illuminata da consentirsi di candidare Ciriaco De Mita e l’erede di una Casa reale che ha concesso lo Statuto e fatto l’Unità d’Italia...».
Cerchiamo di capire qualcosa di questo malcontento senza sbocchi. Possibile che nessuno di sinistra riesca più a cavalcare la classe operaia?
«La sinistra non esiste più. Quella radicale, son quattro gatti».
Passi per Bertinotti, accusato di tradimento del popolo per aver incarnato le istituzioni (non senza qualche compiacimento di troppo). Ma come mai neppure Ferrero o chidiavolosia riesce più a incantare un operaio? È cambiato in profondità anche il mondo del lavoro?
«Sicuro. Gli ultimi comunisti poi sono malati di frazionismo, come si diceva un tempo... Ma la grande crisi di rappresentanza nasce all’interno e dalla lenta agonia del gruppo dirigente del Pci. Chi pensa che abbia organizzato il grosso del consenso a Prodi, qualche anno fa? Ciò che rimaneva del partitone... I cui eredi oggi evitano accuratamente di pronunciare anche solo il termine “classe operaia” e sono guidati dai ragazzi della giovanile democristiana».
Una vera macchina da guerra della rappresentanza, il vecchio Pci, altro che quella gioiosa (e perdente) di Occhetto.
«Un episodio minimo ne dà l’idea: quando ero presidente del Consiglio e presentai un decreto di natura economica, il cosiddetto “quattro per mille”, in Senato si alzò l’amico Gerardo Chiaromonte per dire che dovevo guardarmi bene da raggirare il Pci, che aveva l’unica e vera rappresentanza della classe operaia».
Altri tempi. Ma da ultimo qualcuno ha fatto il «lavoro sporco» prima che arrivasse Franceschini, recidendo tutti i legami possibili...
«A chi pensa? A quel segretario mai stato comunista pur avendo la tessera del Pci che ha fatto di tutto per far dimenticare persino che il Pci fosse mai esistito?».
Forse abbiamo in mente lo stesso nome.
«Lui. Non stia a preoccuparsi: se ne hanno notizie...

Uòlter torna, forse è già tornato».

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