«La sinistra pacifista vuole fare politica sulla pelle di noi libici»

I libici di Milano vivono con angoscia la drammatica evoluzione degli eventi che dalla rivolta, e dalla repressione feroce, ha portato all’intervento militare a Tripoli e Bengasi. Un sentimento di angoscia che si traduce nella richiesta di un intervento militare rapido, che ponga fine ai massacri. Questo è il grido che arriva dal volto più noto della piccola comunità di immigrati dal paese nordafricano, l’architetto Abdel Hamid Shaari, direttore della moschea di viale Jenner e candidato alle elezioni comunali di Milano. Shaari, da 40 anni in Italia, è originario di Derna, cittadina un tempo capitale della Cirenaica, dove ha ancora i suoi familiari. «Il nostro sentimento - dice al Giornale - è di grande sconvolgimento. Gheddafi dice di aver bloccato le offensive, ma in realtà sta bombardando le città. Senza un intervento deciso e risolutivo finirà con altre migliaia di morti civili». Non c’è questione geografica, per Shaari, né si tratta di una guerra civile, semmai della repressione di un regime nei confronti di un popolo: «Questa vicenda drammatica riguarda tutto il nostro popolo - dice - c’è un dittatore che bombarda un popolo inerme, e ha decine di mercenari, africani, ma anche russi, slavi, croati». Per Shaari l’intervento militare non ha alternative. Anzi ce n’è una sola: «Un massacro». «Bisogna almeno mettere in condizioni di non nuocere la forza area di Gheddafi - dice Shaari - bisogna intervenire sulle basi missilistiche e aree, e questo solo una forza multinazionale può farlo, per il resto possiamo cavarcela da soli». Sono ore di preoccupazione anche personale: «Io ho fratelli e sorelle in Libia - dice il capo della più importante comunità islamica milanese - ho sempre criticato il dittatore, ma gli interessi sono sempre più forti di queste nostre critiche». Ora, come sempre accade di fronte a vicende drammatiche della storia, le vicende personali si intrecciano con le decisioni dei politici, e queste ispirano i consueti riflessi ideologici. Come quello pacifista. Shaari è notoriamente di sinistra. Ha manifestato spesso la sua vicinanza ai partiti della sinistra, e quando li ha criticati, come è accaduto per il Pd, si è trattato di critiche «da sinistra». Ieri si è affacciato con le sue bandiere libiche alla manifestazione promossa dalla «Sinistra critica». «Sono andato con le mie bandiere - racconta - perché pensavo che fosse una manifestazione in difesa del popolo libico». Non c’erano molte persone, alcune centinaia. «Sarei andato anche a una manifestazione del Pdl o di chiunque altro - continua il racconto - ma quando ho visto e sentito gli slogan anti-imperialisti e anti-intervento di quel corteo ho ammainato le mie bandiere e me ne sono andato - riferisce deluso - io l’intervento lo voglio assolutamente. Io non ho problemi a farmi aiutare da Obama o Sarkozy o da alti - dice Shaari - se questo può servire a fermare il bagno di sangue». «Non c’era il Pd o l’Idv in quella piazza - riflette amaro - ma una certa sinistra non perde occasione di manifestare per ragioni politiche e ideologiche il suo anti-imperialismo, ma così facendo lascia mano libera al dittatore. È comodo manifestare per ragioni politiche sulla nostra pelle.

Sì, chi è contro l’intervento oggi sappia che noi, i nostri fratelli e le nostre sorelle, paghiamo questa posizione con il nostro sangue». Ma chi si oppone alla guerra non sta solo a sinistra: «Continueremo a dire no all’intervento militare nelle istituzioni e anche nelle piazze» ha detto ieri il leghista Matteo Salvini.

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