A sinistra tutti contro tutti "Governo istituzionale". "No, se cade si va al voto"

Bertinotti e Ferrero si contraddicono sullo scenario per il dopo Prodi Previsioni negative per i senatori dell’ala radicale. Russo Spena: "È la fine". Salvi: "Non ce la faremo, colpa del Pd"

A sinistra tutti contro tutti "Governo istituzionale". "No, se cade si va al voto"

Roma - Si salvi chi può. Già, diceva Totò: ma c’è chi può e chi non può. È un momento doloroso, per i «piccoli» dell’Unione. Abbandonati a se stessi, si aggirano nel Transatlantico sembrando ancor di più lillipuziani naufraghi in cerca della zattera di salvataggio. L’unica visibile si chiama ancora Prodi, e difatti vi si aggrappano con la forza della disperazione. Addirittura i dipietristi dichiarandosi pronti a una «fiducia convinta», non certo «tiepida» come quella annunciata da Manzione e Bordon. O senza entusiasmo come quella dell’ex comunista Fernando Rossi, che si tura il naso: «Meglio un sì che il baratro».

Il baratro: del doman non v’è certezza, è chiaro. Eccoli allora nuotare in ordine sparso verso orizzonti improbabili. «Eravamo divisi quando c’era il governo, figuriamoci oggi che il governo è in crisi», dice l’amara schiettezza di un deputato rifondatore. Si sentono voci incredibili, e incredibili dichiarazioni. Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, prefigura una stagione per le «riforme che non possono attendere» con un «governo istituzionale». E Paolo Ferrero, rifondatore e ministro della Solidarietà, sottolinea: «Non vedo le condizioni per nessun governo istituzionale». Non bastasse, il segretario del Prc, Franco Giordano, arriva a definire lo scenario prediletto da Bertinotti come «chiacchiere in libertà, tatticismi: al momento bisogna soltanto portare la crisi in Parlamento, stanare amici e nemici». Se il presidente della Camera aveva sottolineato che «votare subito con questa legge aggraverebbe la crisi in cui versa l’Italia», Giordano prima parla di elezioni anticipate in caso di caduta di Prodi e poi smentisce se stesso: «Mai posto il problema». Questo per restare a Rifondazione, che riunisce segreteria e gruppi per analizzare la crisi e si ritrova spaccata a metà tra bertinottiani e ferreriani. Il fallimento del governo trascina con sé l’esperimento rifondatore: alla fine confusione regna sovrana, al punto che il capo dei senatori, Giovanni Russo Spena, proprio mentre si suda per trovare i numeri in Senato, taglia corto: «Non ce la faremo, va detto con sincerità».

Viva la sincerità, allora. Il capo di Sinistra democratica, Cesare Salvi, non ne difetta: «Aspettiamo il voto incrociando le dita anche se stavolta credo che il governo non ce la farà. Anche per il governo istituzionale non ci sono le condizioni», dice prefigurando elezioni anticipate. E si toglie dalla scarpa il sassolino che ancor lo tormenta: «Per capire dove abbiamo sbagliato, serve un’operazione-verità. Le responsabilità della crisi sono nell’immediato certamente il cambio di cavallo in corsa di Mastella. Ma la responsabilità di fondo è del Partito democratico: la destabilizzazione che ha comportato e l’elezione plebiscitaria di un nuovo leader, che ha creato un serio dualismo tra Prodi e Veltroni». Tesi già denunciata da tempo e cara anche al socialista Enrico Boselli. Che tra le maggiori cause della crisi annovera «le tensioni determinate dalla nascita del Pd e in particolare dalle iniziative di Veltroni in tema di legge elettorale. Non si può davvero pensare che il tentativo di trovare un accordo con Berlusconi, tagliando fuori una parte della coalizione, avrebbe allungato la vita al governo Prodi».

In questo momento di totale annebbiamento sul futuro, per fortuna il leader della Sinistra democratica, Fabio Mussi, non tentenna e chiede di accelerare l’unità a sinistra. «Qualunque sia lo sviluppo della crisi, la Sinistra arcobaleno si presenti unita: parli uno solo in Parlamento e andiamo con un’unica delegazione al Quirinale». Ipotesi accolta entusiasticamente da Giordano e Folena. Purtroppo, trattandosi di Arcobaleno, sfumature non mancano. Lo stesso Mussi sottolinea che «quando qualcuno ha tirato fuori l’ipotesi di governo istituzionale, non ho sentito applausi». Il leader verde Pecoraro Scanio chiarisce: «Lo scontro si radicalizza, escludo governi istituzionali». Assist perfetto per il comunista Oliviero Diliberto, che insacca: «Se Prodi non dovesse farcela, si vada alle elezioni. Diciamo no a pateracchi e soluzioni pasticciate. E se qualcuno lo vuole fare, noi saremo all’opposizione». Anche perché, estremizza Manuela Palermi, «con chi tradisce non vogliamo avere nulla a che fare». Difficile convincere così qualche riottoso a votare per Prodi, e la stessa Palermi lo ammette: «Prodi non ha più la maggioranza qui in Senato, vedremo che succederà».

Mentre si incrociano le dita, emerge evidente che se alla sinistra mancava molta cultura di governo, manca totalmente la cultura della crisi-di-governo.

Con Giordano che si danna l’anima per salvare la legislatura, e dunque anche il referendum che ammazzerebbe Rifondazione. Chi ha sputato veleno sul Pd chiede come se nulla fosse a Veltroni di ripensarci in caso di elezioni e reimbarcarli. Per non dire di Pecoraro, che vuole «andare fino in fondo con Prodi». Andrebbe accontentato.

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