La sinistra vuole obbligare tutti i partiti alle Primarie

Proposta di legge firmata dalla Quercia: garantire un bonus nel rimborso elettorale soltanto a quelle formazioni che mettono ai voti la nomina dei propri candidati

Adalberto Signore

da Roma

Il copyright, almeno stando agli archivi di Camera e Senato, è di Cesare Salvi. Che nel lontano 1999, allora capogruppo dei Ds a Palazzo Madama, presenta come primo firmatario un disegno di legge di «riforma dei partiti politici» con il quale si vorrebbe introdurre per legge la possibilità di tenere le primarie. Il ddl, sottoscritto da oltre venti senatori diesse, si arena però sugli scogli della commissione Affari costituzionali e non se ne fa nulla. I Ds non si perdono d’animo e tornano alla carica nel 2002, con un provvedimento firmato da Franca Chiaromonte e altri 28 deputati. Tra loro, gli attuali ministri Vannino Chiti (Riforme), Livia Turco (Salute) e Giovanna Melandri (Politiche giovanili e Sport). Ma il disegno di legge non ha miglior fortuna del precedente e finisce anch’esso nel dimenticatoio. Si arriva così ai giorni nostri. La Chiaromonte ci riprova e già poche ore dopo l’insediamento del nuovo Parlamento ripresenta il provvedimento alla Camera. Qualche mese fa, poi, decide di seguirla anche la neosenatrice dei Ds Anna Maria Carloni (moglie del governatore della Campania Antonio Bassolino) che presenta un testo quasi identico a Palazzo Madama. Undici articoli che hanno l’obiettivo di regolamentare «la democrazia interna dei partiti», il loro finanziamento e la «scelta delle candidature attraverso le elezioni primarie».
E qui sta il punto. Perché i disegni di legge - entrambi già assegnati in sede referente alle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato - dedicano ben nove articoli alla «selezione delle candidature» per «concorrere» alle «elezioni della Camera, del Senato o del Parlamento europeo». I partiti, recita l’articolo 4, «possono promuovere elezioni primarie a scrutinio segreto». A leggere quel «possono», dunque, la proposta di legge non sembra poi così rivoluzionaria perché lascerebbe liberi i partiti di scegliere se seguire o no la strada delle primarie.
Bisogna scorre fino all’articolo 10 per capire che in realtà non è affatto così. La ragione è semplice, visto che solo «i partiti che scelgono di promuovere elezioni primarie hanno diritto a una maggiorazione del 10 per cento sulla quota di rimborso elettorale previsto dalla legge» 157 del 1999. Insomma, se il disegno di legge fosse approvato i partiti si troverebbe di fatto costretti a fare le Primarie, salvo volersi privare di un considerevole aumento dei finanziamenti. L’Unione, per esempio, invece dei circa 141 e rotti milioni di rimborso cui ha diritto in base ai risultati delle elezioni del 9 e 10 aprile scorsi, fosse in vigore la legge ne andrebbe a incassare circa 155. Il dieci per cento in più, nel caso specifico circa 14 milioni di euro. Fin troppi, visto che per ammissione degli stessi organizzatori le primarie dell’ottobre 2005 che incoronarono Romano Prodi candidato premier del centrosinistra non costarono più di cinque milioni.
Le novità, però, non finiscono qui.

Oltre a un incremento del dieci per cento dei rimborsi elettorali nel caso di primarie, l’articolo 11 del disegno di legge stabilisce che «ciascun contribuente, contestualmente alla dichiarazione annuale dei redditi, può destinare il 4 per mille dell’Irpef ai partiti che hanno ricevuto il rimborso delle spese elettorali per le ultime elezioni della Camera». Un altro sostanzioso rabbocco alle casse della politica.

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