La sinistra vuole ridare Facebook ai dipendenti

Altro che arrendersi, i partiti in Provincia rilanciano la sfida della modernità alla giunta dell’oscurantismo tecnologico. La guerra di Facebook e di tutti i sistemi che internet offre per entrare in contatto con il mondo è solo all’inizio. E se nel corso dell’ultimo consiglio provinciale erano stati i partiti di opposizione a criticare l’assessore Milò Bertolotto per aver oscurato i social network e persino i siti utilizzati per la posta elettronica dai computer dell’ente, stavolta tocca alla maggioranza andare all’attacco della sua stessa giunta. Rifondazione, Comunisti Italiani, Verdi e Italia dei Valori presentano una mozione che non solo chiede l’immediata riattivazione dei servizi per i computer dei gruppi politici e dei dipendenti, ma addirittura implora Repetto e compagni di accettare l’idea che il mondo sta cambiando, adeguandosi ai tempi. Il documento della maggioranza chiede infatti che la stessa Provincia apra un proprio profilo su Facebook, che sia il primo ente ligure a sfruttare l’opportunità che offre questo social network cui sono registrati oltre 2 milioni di utenti in Italia e 170 nel mondo.
Non solo. Comunisti di ogni partito, Verdi e dipietristi sperano che la giunta attivi un canale su Youtube dedicato alla Provincia di Genova su cui immettere filmati e videoservizi sulle attività dell’ente. E che anziché vietare a dipendenti e gruppi politici di utilizzare Skype, il sistema di telefono tramite internet che praticamente azzera i costi di comunicazione, lo sviluppi per sfruttare la possibilità di risparmio.


«Non vogliamo far passare il messaggio che i dipendenti della Provincia siano fannulloni che si trastullano con i social network - chiarisce subito Alessandro Benzi, capogruppo di Rifondazione - Ma dopo i tornelli fisici che obbligano i dipendenti pubblici a essere fisicamente in ufficio, non sentiamo la necessità di tornelli virtuali che ne blocchino anche le uscite nella rete delle conoscenze». Tra l’altro, attaccano sempre i partiti di maggioranza, la decisione è stata «arbitraria e non concordata con alcun consigliere, né discussa o condivisa dalla giunta».

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