Lo slalom di Baffino: la giustizia lo sfiora ma non lo colpisce

L’ombra del sospetto, a più riprese, lo ha sfiorato. E non in vicende di poco conto, vedi il caso Unipol o i rapporti con il «re» delle protesi sanitarie in Puglia Gianpaolo Tarantini, l’uomo che secondo le accuse della Procura di Bari procurava le ragazze da portare alle feste del premier, a Palazzo Grazioli. Eppure Massimo D’Alema, ogni qualvolta la giustizia l’ha lambito, è sempre uscito in piedi, senza un graffio: vuoi la prescrizione, vuoi lo scudo dell’immunità parlamentare, vuoi le pastoie della giustizia lumaca, nei guai, giudiziariamente parlando, non è finito mai.
Baffino non ha avuto problemi nemmeno quando ha ammesso la sua colpa, un finanziamento illecito da 20 milioni di vecchie lire, che nel 1985 non erano robetta. Il futuro lìder Massimo, allora, era solo il segretario regionale del Pci nella sua Puglia. E prese quei venti milioncini dall’allora «re» della sanità barese, Francesco Cavallari. Fu proprio Cavallari a raccontarlo. E D’Alema, ascoltato, ammise. Proteste, giustizialisti pronti a gridare allo scandalo? Nulla del genere. E dalla Procura neanche un buffetto: archiviazione per prescrizione.
Non c’è bufera giudiziaria che tenga contro uno che ha, tra i suoi nomignoli, anche spezzaferro. Neanche l’inchiesta della Procura di Roma sui finanziamenti Pci-Pds iniziata sulla scia di Tangentopoli, nemmeno quella dell’allora pm, oggi procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio sulle coop rosse hanno scalfito l’invulnerabilità di un leader che ha attraversato indenne tutte le metamorfosi del partito, dal vecchio Pci al Pd. Anche in questi due celebri casi D’Alema ha ottenuto l’archiviazione, a Venezia nel novembre del 1998 e a Roma il 15 gennaio del 1999. D’Alema, che all’epoca era premier, sul caso Venezia, si è preso anche una piccola rivincita: nel 2006 ha ottenuto un risarcimento per l’eccessiva lunghezza del procedimento penale subito. Nulla di rilevante, novemila euro, ma è il principio che conta.
Del resto, se una legge c’è va applicata. Comunque. Anche se si tratta di una di quelle leggi contro le quali da politici si tuona gridando allo scandalo. Vedi per esempio quella che tutela la privacy dei parlamentari, specie quelli europei. Se lo scudo c’è, peccato sprecarlo. E Baffino non spreca. L’Europarlamento nel 2008 ha negato quasi all’unanimità all’allora gip di Milano Clementina Forleo che stava indagando sul caso Unipol e sulla tentata scalata a Bnl la possibilità di usare la conversazione telefonica tra Baffino e l’ex presidente di Unipol Giovanni Consorte.
Ultimamente, a dare a D’Alema qualche pensiero sono stati la sua Puglia, la storia della cena e dell’incontro in barca con Tarantini, e il conto «Oak Fund». Una vicenda vecchia, quella del conto estero che si chiamava «quercia», come l’ex partito della Quercia.

Ma le motivazioni della sentenza che ha assolto l’ex capo della security di Telecom Giuliano Tavaroli l’hanno resuscitata. E le carte, ora pubbliche e rese note dal Giornale, inquietano Baffino e il Pd che ha già annunciato querele.

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