Politica

Smarrimento a Bruxelles «Ma avanti con le ratifiche»

Juncker e Barroso rinviano a metà giugno. Londra chiede una riflessione. Fini: «L’Europa supererà la crisi»

Alessandro M. Caprettini

da Roma

Cosa cambia adesso? Facce lunghe e toni sommessi, Junker e Barroso - riunitisi ieri a palazzo Berleymont per analizzare i dati del referendum francese - hanno dichiarato «che l’Unione non si ferma certo» e che «la marcia per la ratifica prosegue». Ma han dato l’impressione di crederci poco anche loro che nulla cambierà. L’entità del successo del «no» - che si riteneva più risicato se non proprio ribaltabile - è un segnale molto negativo. Il rischio che l’Olanda, mercoledì, affibbi un altro secco ceffone al patto-cardine della Ue a 25, diventa più concreto. Logica la preoccupazione. Difficile mettere a punto già ora una strategia di contenimento.
Lo stesso ipotizzato vertice straordinario del consiglio europeo - si era parlato di una data attorno al 9-10 giugno - diviene a questo punto un’ipotesi più sfumata. L’Europa deciderà il suo futuro al summit già previsto per il 16-17 giugno. Tra l’altro si rischia di aprire un vaso di Pandora. La Cdu tedesca, nei giorni scorsi, aveva messo in chiaro come, in caso di un prevalere dei «no» bisognerà bloccare le nuove adesioni. Non solo quella turca, per la quale le consultazioni d’avvio sono in programma a settembre, ma anche quelle di Romania e Bulgaria, già fissate per il 2007. Non è un caso allora che proprio il presidente romeno Basescu sia stato uno dei primi che ieri sera hanno commentato l’esito del referendum: «Guardiamo con calma lo stato delle cose. Senza lamenti o depressione». Il ministro degli Esteri britannico Straw dichiara che il no «fa nascere profondi interrogativi in tutti noi sulla direzione dell'Europa» e che ci vuole «un periodo di riflessione».
Il premier danese Rasmussen nota che si è trattato sì di «un giorno triste per la Francia e per l’Europa» ma invita anche a non esagerare coi de profundis. E per il cancelliere tedesco Schröder si tratta di una «battuta d'arresto per il processo della Costituzione ma non la sua fine». Il ministro degli Esteri italiano Fini è sulla linea della Commissione: avanti con le ratifiche. «Il trattato è un efficace strumento per il progresso dell’Unione. Riaffermiamo il nostro impegno nella consapevolezza che ancora una volta l’Europa saprà superare crisi e difficoltà». Anche uno dei numeri due della commissione, il francese Barrot, una volta ammesso di aver rivissuto il drammaticamente il no pronunciato dai francesi nel ’54 contro il progetto europeo di difesa, rileva come «una volta lanciato, un progetto non lo si può abbandonare». E come lui il ministro degli esteri polacco Swieboda ritiene che a questo punto proprio il no pronunciato oltralpe potrebbe in definitiva costituire la molla «per mettere a fuoco meglio i problemi».
Ma sarà davvero così? Qualcuno lo ritiene possibile. I socialisti spagnoli (Psoe) invocano decisioni «non affrettate», ipotizzando solo «ritocchi» al trattato che poi i francesi potrebbero rivotare. Ma c’è anche chi, come il presidente degli eurodeputati socialisti, il tedesco Shulz, ritiene che non si possa far finta di niente. «Il trattato di Nizza - spiega - è inadeguato e non praticabile per una Europa a 25. E dunque bisogna proseguire la battaglia per un nuovo patto creando un’Europa più sociale». Il suo collega Poettering, presidente dei Popolari, nota che la carta Ue è basata su «un consenso» che la Francia non ha espresso. Mentre per il leader populista austriaco Heider «è l’inizio della rivolta».
Le assicurazioni di Chirac sulla volontà della Francia di restare in Europa e onorare i suoi impegni lasciano il tempo che trovano. Junker e Barroso già da oggi devono creare un progetto credibile e non macchinoso per far ripartire il convoglio.

Non sarà facile.

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