Per Jan Jongbloed il problema non è mai stato nel far vivere o morire il suo personaggio, ma nel riciclarlo professionalmente. Tabaccaio, portiere della nazionale olandese, pescatore provetto e molto altro ancora. Lui di finali mondiali se ne intende davvero, ne ha disputate un paio e le ha perse entrambe. Tra i pali non è mai stato un fenomeno e nella grande Olanda di Cruijff ci giocava solo perché Rinus Michels non sopportava la presunzione di Jan Van Beveren, lui sì portiere di valore mondiale. A distanza di oltre un terzo di secolo il 70enne Jongbloed è ancora sulla cresta dell'onda. Allena nelle giovanili del Vitesse, formazione della città fluviale di Arnhem, ed è pronto a scommettere sulla vittoria degli orange contro la Spagna. «Se non altro per una questione di probabilità. Abbiamo un credito enorme con la buona sorte».
Una curiosità ce la deve togliere all'istante, perché quella maglia numero 8?
«Semplice, da ragazzino giocavo a centrocampo e non avevo alcuna voglia di fare il portiere. Tra i pali ci sono finito per caso. L'8 era per ricordare le mie origini. Non sono comunque l'unico portiere ad aver avuto un numero insolito. L'argentino Fillol giocava col 5».
Perché ha scelto di vivere un'intera carriera da dilettante?
«Non ero tagliato per il professionismo. Mi piaceva tantissimo stare dietro a un bancone e incontrare gente, e non avrei mai rinunciato alla pesca. Un hobby che si coltiva nel fine settimana, incompatibile quindi con le partite di pallone».
Eppure certe sue valutazioni non le hanno impedito di diventare il portiere della grande Olanda.
«Michels mi stimava, e vivendo il calcio con semplicità riuscivo a trasmettere serenità ai compagni di squadra. Non sapevo cosa fosse lo stress, ma questo non mi ha impedito di essere colpito da un infarto. Lo devo purtroppo alle troppe sigarette».
Parliamo di calcio giocato. Due finali perse, però in entrambi i casi contro i padroni di casa.
«È un peccato averle perse, ma un merito esserci arrivati. Non è da tutti. In entrambi i casi non ne ho certo fatto una malattia. Nella mia vita ho perso cose più importanti, come mio figlio Erik ucciso da un fulmine».
Quella terribile disgrazia ha cambiato il suo modo di vivere?
«Il ricordo ha preso il posto del dolore. Ho la fortuna di essere circondato dall'affetto di mia figlia, dei miei nipotini e della mia compagna».
È la volta buona per l'Olanda?
«La squadra mi ricorda quella che vinse gli Europei nel 1988. Anche in quell'occasione non partivamo con i favori dei pronostici. La Spagna è davvero una corazzata, ma con Robben e Sneijder possiamo abbatterla».
Il suo erede Stekelenburg è stato indicato miglior portiere dei mondiali. È d'accordo con la giuria?
«No. Stekelenburg mi piace ma non lo trovo superiore a tanti altri che ho visto in Sudafrica. E poi non esistono eredi di Jongbloed. Io ero davvero unico. Semmai un premio l'avrebbe meritato Van der Sar alla carriera».
Un'ultima curiosità. Il gol di Gerd Mueller nella finale del 1974 era imparabile o fu un suo errore?
«In molti sostengono che io abbia sbagliato qualcosa. Lo chieda ai portieri più bravi. Per me quel pallone era imprendibile».