Socialisti dei due poli, unitevi!

Pietro Mancini

Un serio e credibile progetto socialista può riemergere, nel nostro Paese, oppure i tanti elettori che hanno creduto alle idee e alle battaglie di Nenni, Pertini, Craxi e Mancini, non solo sono destinati a morire prodiani - prospettiva contro cui, opportunamente, si è ribellato Rutelli - ma devono rassegnarsi a sperare nella rinascita del socialismo italiano, non prima di 50 o 100 anni? Per rispondere a questa domanda, non si può non partire da un giudizio, tutt'altro che entusiasta, sul ruolo, che svolgono i due esili tronconi, nati dopo la tragica fine del vecchio Psi, cioè il Nuovo Psi di De Michelis e lo Sdi di Boselli. Come dar torto a Rino Formica, quando contesta a questi due cespugli il diritto di parlare a nome di una presunta continuità storica con il centenario partito del socialismo italiano? E quando l'ex ministro craxiano disapprova il fatto che De Michelis e Boselli non abbiano, almeno sinora, mai pensato di porre in discussione il rispettivo rapporto, da un lato, con la Casa delle libertà e, dall'altra, l'assorbimento nella galassia prodiana?
Di recente, Bobo Craxi, deputato eletto in Sicilia nel 2001 grazie ai voti della Cdl, ha chiesto a De Michelis e ai dirigenti e ai militanti del Nuovo Psi di aprire un dialogo con gli ex compagni, collocati nell’Unione, dando un giudizio negativo sulla proposta di Berlusconi di fondare un partito unico del centrodestra. Sono comprensibili le riserve del giovane Craxi e dei suoi amici su un progetto che, qualora andasse in porto, potrebbe ridurre il già gracile Nuovo Psi nella costola, minoritaria e ininfluente, del nuovo partitone moderato, collegato in Europa con il Ppe.
Motivando la sua decisione di guardare a sinistra, Bobo ha voluto sottolineare una frase significativa di suo padre, Bettino: «Io sono stato uno degli uomini più a sinistra di questo Paese, l'unico problema è che non sono mai stato comunista!». Ma proprio in questa diversità, quasi genetica e culturale prima che politica, va ricercata la profonda avversione dei comunisti, e purtroppo anche di molti diessini, nei confronti di tanti socialisti, e non solo di Craxi senior. I quali hanno tentato di riequilibrare, purtroppo non riuscendovi, le forze della sinistra, senza, però, mai intrupparsi, prima nel Pci e poi nei Ds.
Se, dunque, è giusto incoraggiare Piero Fassino, Umberto Ranieri e i dirigenti più aperti e meno settari della Quercia a battersi per il rinnovamento della sinistra e a riconoscere i gravissimi errori commessi dal Pci e poi dal Pds, guidato negli anni ’90 dagli accaniti giustizialisti Occhetto e Violante, nei confronti del Psi e dei suoi dirigenti, sarebbe illusorio pensare di sanare tutte le ferite e progettare il futuro dei socialisti, attuando un semplice traghettamento, armi, bagagli e... collegi, dalla Cdl all’Unione. All’interno della coalizione prodiana, tutti i socialisti verrebbero accolti con gelida diffidenza dai diessini, i quali già mostrano un forte fastidio per le prove in corso, soprattutto al Sud, di ricomposizione della «diaspora» socialista.
La strada maestra, per i socialisti, potrebbe essere, invece, quella dell’immediata rinuncia alle attuali rendite, peraltro modeste, assicurate dalla ininfluente permanenza nei due schieramenti, e di lavorare per una presenza autonoma, alle politiche del 2006, con una lista, che potrebbe essere battezzata «Socialisti uniti», nel proporzionale. E, intanto, Boselli, Intini e i dirigenti dello Sdi, eccessivamente silenziosi, boccino, come ha fatto la Margherita, l’asfissiante egemonia della Quercia nella coalizione, sollecitando la trasformazione, effettiva, e non solo nelle intenzioni, dei Ds in un grande partito socialista europeo. È giusto, dunque, che i socialisti riprendano a lavorare insieme, al centro e nelle regioni, tessendo il filo dell'unità e dell'autonomia e proponendosi di riassumere un ruolo meno marginale nella politica italiana, che oggi fa registrare, nel panorama europeo, l’anomala assenza di un grande partito socialista e riformista.
Senza timidezze e complessi di inferiorità, i socialisti non restino accucciati, ma tornino a farsi sentire, sulle tante questioni, trascurate dal centrodestra e dal centrosinistra. «Politique d’abord», diceva Pietro Nenni, quando chiedeva la preminenza delle questioni politiche sulle esigenze personali dei compagni, sulle poltrone e sui collegi.

Senza sottovalutare l’opportuno invito di Formica a evitare di passare dalla lunga fase dell’anti-socialismo dei nemici, di ieri e di oggi, del Psi al periodo, che sarebbe altrettanto deleterio, dell’anti-socialismo dei socialisti.

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