È giusto non dare del "tu" al lavoro. Però non si deve nemmeno dare del "Lei" al nostro tesoro che è sempre dov'è il nostro cuore

Bisogna imparare a buttare il cuore oltre gli ostacoli, suggerisce un famoso aforisma, perché la vita è fatta d'istinti e d'istanti, ma il problema è che viviamo distinti e distanti

 È giusto non dare del "tu" al lavoro. Però non si deve nemmeno dare del "Lei" al nostro tesoro che è sempre dov'è il nostro cuore
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"Lavoro tutto il giorno che peccati vuoi che faccia?». È uno degli alibi più frequenti che ci si dà e in questo periodo di fine estate fa proprio pensare alla ripresa delle attività che è pronta a inghiottire tutto e tutti. Mi ha fatto ricordare un racconto abbinato alla propensione della mia terra bergamasca, o comunque lombarda, all'impegno a volte esasperato. Persino il dialetto orobico è curioso: non c'è la parola «lavoro» ma si usa l'espressione «darsi qualcosa da fare», mentre «laur» è addirittura sinonimo del generico «cosa». Un proverbio locale rafforza l'idea: «Non si dà del tu al lavoro!»: il «dare del lei» come a qualcuno di importante è invito a portare rispetto, attribuire onore, cogliere l'importanza valoriale della fatica.

Un industrialetto bergamasco, chiusa per ferie la fabbrichetta, arriva al sud per qualche giorno di mare. Una mattina sul molo vede un pescatore sdraiato. Basito lo interpella: «Uè, perché non sei in mare a pescare?». «Perché ho preso abbastanza pesce per oggi», risponde placido. «Perché non ne prendi dell'altro?». «E a cosa mi servirebbe?». «Pota, potresti guadagnare più soldi per dotare la barca di attrezzature per spingerti in acque più profonde: più pesce, più soldi. Compri un'altra barca, poi due, poi quattro e via. Lavora!». Il pescatore lo guardava pensieroso: «E poi?». «Potresti allora rilassarti e goderti la vita», sentenziò tronfio. L'uomo, rimettendosi comodo, mormorò: «E cosa pensi che stia facendo?».

Non è assolutamente mia intenzione entrare in tematiche culturali di differenza o di separazione e mi scuso subito con chi può avere avuto una percezione di giudizio. Anzi, proprio al contrario, mi preme mostrare come sia proprio un peccato quello che gli americani chiamano l'essere «workaholic» o «workaholism», cioè l'impegnarsi in modo compulsivo creando una dipendenza come dall'alcool o dalla droga, per colmare vuoti emotivi o esistenziali o affettivi o valoriali o relazionali. Gesù nel Vangelo dice: «dove è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore». Gli può fare da eco Albert Einstein quando ammonisce: «Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato». Quindi potrebbe essere interessante usare quest'aria ancora un po' vacanziera, prima del vortice degli impegni, per giocare a fare una caccia al tesoro.

Quando eravamo piccoli gli elementi della caccia al tesoro erano chiari: una mappa, indizi da decifrare, prove da superare. Non ci facevamo tanti problemi sul dove ci portava la mappa. Si affrontavano le difficoltà senza lasciarsi intimorire e senza farsi bloccare da cosa poteva esserci dopo. L'importante era raggiungere la X e trovare il tesoro. Poi cos'è successo? Siamo cresciuti, sempre con la voglia di cercare, ma senza più spensieratezza, perché è capitato di trovarsi una mappa cambiata a gioco iniziato, indizi confusi con trappole nascoste, miraggi ammalianti per cambiare strada, oppure cartelli apparentemente giusti che spingevano in situazioni sbagliate. Dove è il tesoro? Dove è il tuo cuore, lì c'è il tuo tesoro. Bisogna imparare a buttare il cuore oltre gli ostacoli, suggerisce un famoso aforisma, perché la vita è fatta d'istinti e d'istanti, ma il problema è che viviamo distinti e distanti. Cosa cambia? Manca un banale apostrofo, un respiro che cambia tutto. Questo è difficile da confessare a se stessi prima che a Dio quando si lavora tutto il giorno. Per molti però è una necessità a causa dei tanti bisogni e del caro vita, quindi va attribuito onore dando del «lei» a queste fatiche, che gli antichi hanno deciso di chiamare «sacrifici». È un termine sempre associato a una percezione negativa, invece il senso originario latino nasconde un messaggio: «sacrum facere», ciò che rende sacro quell'impegno per mantenere chi si ama e per realizzare se stessi.

Viene attribuita a Madre Teresa di Calcutta una frase spiazzante: penso con

preoccupazione e compassione a quelle persone così povere che hanno solo i soldi. Sono quelli che lavorano talmente tanto da non avere tempo per commettere colpe, ma nemmeno per godersi la vita. Questo è proprio un peccato, invece.

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