Donne straordinarie

"Costretta da una forza sotterranea". Il Nobel che ribaltò il patriarcato

Grazia Deledda fu la pioniera che a cavallo tra l’800 e il ‘900 ha cercato di farsi strada nell regno maschile e maschilista della letteratura. Incompresa anche dai suoi stessi conterranei ha saputo formarsi da sé arrivando alle vette più ambite

"Costretta da una forza sotterranea". Il Nobel che ribaltò il patriarcato
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È una notte gelida quella del 10 dicembre 1927. Su un palco a Stoccolma una donna minuta tiene ben saldo un premio. È una scrittrice dal nome Grazia Deledda la prima, e al momento l’unica, donna italiana a vincere il premio Nobel per la letteratura.

Quel trofeo è impregnato di critiche e incomprensioni dei suoi conterranei e dei maestri dell'epoca e, infatti, il suo discorso di ringraziamento inizia con queste parole: “Sono nata in Sardegna: la mia famiglia composta di gente savia, ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità e aveva anche una biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere, a 13 anni, fui contrariata dai miei…”.

La sua non è una vita come quella della maggior parte delle donne del suo tempo, lei è lì perché con le parole è riuscita a descrivere tradizioni lunghe secoli, odori, sapori e tutto quello che di buono sprigiona la sua terra, ma anche umiliazioni, sottomissioni e subordinazioni che lei stessa ha combattuto con l'arma bianca della scrittura.

Le origini

Grazia Maria Cosima Damiana Deledda nasce nel 1871 a Nuoro, in Sardegna da una famiglia benestante. Il padre Antonio è un imprenditore nel settore del commercio e dell'agricoltura e nel tempo libero scrive poesie che pubblica su una rivista sarda tramite la tipografia che lui stesso fonda. I suoi versi in dialetto sono studiati con cura nei momenti che ritaglia dalla numerosa famiglia e dal lavoro. Grazia inizia gli studi e li finisce con la quarta elementare. Poi viene seguita privatamente da un docente da cui apprende solo per pochi anni l’italiano, il latino e il francese. La ragazzina però sente dentro di sé il bisogno di apprendere e istruirsi, quindi continua i suoi studi da autodidatta.

Sin dall’infanzia sente un irrefrenabile impulso verso la scrittura, “costretta da una forza sotterranea” come scriverà in “Cosima”, che in certe occasioni deve reprimere a causa della mentalità ancora troppo ristretta e patriarcale degli abitanti di Nuoro. Questa predisposizione è spesso condannata anche dalla sua famiglia ma ogni suo senso la spinge a ribellarsi e a realizzarsi in spazi più vasti e aperti, del tutto diversi rispetto a quelli in cui cresce. Il suo sogno è mettere pratica le sue capacità e confrontarsi con altre personalità simili alla sua. Di solito però, negli ambienti più chiusi, accade che la voglia di volare sia vista come alto tradimento e spinge verso due scelte: l'accomodamento o la fuga.

Il primo a sostenerla è lo scrittore Enrico Costa che comprende il talento ancora acerbo ma fruttuoso della giovane donna. In seguito anche il poeta e scrittore Giovanni De Nava la nota e inizia con Grazia una corrispondenza fatta di apprezzamenti reciproci. Inizia da qui una relazione d’amore epistolare fatta di poesie e versi intrisi di passione e finita solo dopo un lungo silenzio dell’uomo alle ultime lettere della giovane. Anni dopo, nel 2015, la nipote dello scrittore, Ludovica De Nava, pubblicherà la corrispondenza del nonno sotto il volume “La quercia e la rosa. Storia di un amore importante di Grazia Deledda con lettere autografe”. Nelle missive viene svelato il vero motivo per cui De Nava decide di allontanarsi sentimentalmente, ovvero l’opposizione delle famiglie.

Gli anni di buio e il matrimonio

All'improvviso un periodo di disgrazie mette in ginocchio casa Deledda: il fratello maggiore di Grazia, Santus, abbandona gli studi e diventa alcolizzato, il più giovane, Andrea, viene arrestato, il padre muore a causa di una crisi cardiaca e qualche anno dopo anche la sorella Vincenza si ammala fino alla morte. La situazione economica è critica e Grazia si ritrova a sostenere gran parte del peso sulle sue spalle.

La giovane scrittrice però non si fa scoraggiare e anzi mette ancora più impegno nella sua passione, tanto che a quindici anni pubblica la prima novella e nell’87 prende coraggio e invia a Roma due racconti: “Sangue sardo” e “Remigia Helder”, che vengono pubblicati dall’editore Perino sulla rivista Ultima moda, la quale in un secondo momento accoglierà anche un romanzo a puntate dal nome “Memorie di Fernanda”.

Tre anni dopo esce su L’avvenire della Sardegna il romanzo “Stella d’Oriente” che Deledda firma con lo pseudonimo di Ilia de Saint Ismael e a Milano “Nell’azzurro”. Da questo momento in poi la sua inventiva scorre a cascata e lei si sente un fiume in piena. Scrive e collabora con nomi prestigiosi come Gubernatis e Bonghi e, pur mantenendo l’interesse per il genere e la tradizione sarda, si avvicina a un altro stile lontano geograficamente dal suo luogo natale: la letteratura russa.

La sua fama tocca le orecchie di diversi critici anche se i primi a non comprendere Deledda sono proprio i conterranei. Gli intellettuali sardi del suo tempo nel complesso si sentono traditi e spesso non accettano le sue descrizioni fatte con una leggera venatura di denuncia. Gli animi si scaldano soprattutto dopo la pubblicazione di “Fior di Sardegna”, perché il romanzo racconta di una terra rude, rustica e un po’ arretrata.

A queste accuse Deledda risponderà: “Io non sogno la gloria per un sentimento di vanità e di egoismo, ma perché amo intensamente il mio paese, e sogno di poter un giorno irradiare con un mite raggio le fosche ombrie dei nostri boschi, di poter un giorno narrare, intesa, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza”.

Nel 1899, dopo il suo trasferimento a Cagliari, incontra Palmiro Madesani, un funzionario delle finanze che s’innamora della giovane Grazia e la sposa l’11 gennaio 1900. È proprio per amore che Madesani lascia anche il lavoro e, attirato dal vortice di passione verso la letteratura che avvolge la moglie, inizia a fargli da agente. Qualche anno dopo anche la città di Cagliari diventa stretta per l’immensità su cui Grazia vuole continuare a scrivere e per questo motivo la coppia decide di trasferirsi a Roma dove nascono anche i due figli, Franz e Sardus.

Elias Portolu e il premio Nobel

Le sue opere sono spesso giudicate dalla critica come veriste e decadentiste. Il focus rimane quasi sempre il patriarcato e il potere influenzante che ha nella terra sarda, ma anche i legami familiari che determinano affetti ma anche battaglie sentimentali. I tre punti principali attorno ai quali i suoi personaggi conducono la narrazione sono amore, dolore e morte. La scelta di scrivere in lingua italiana, al contrario dello stile patriottico del padre, è volta a raggiungere un mercato editoriale più ampio, ma allo stesso tempo rimane radicata alle sue origini, con l'inserzione di termini e modi di dire tipici sardi, di cui vi sono le traduzioni nelle note.

La pubblicazione di “Elias Portolu” la conferma come scrittrice e l’avvia a una serie di romanzi come “L’edera” e “Canne al vento” - proprio di quest'ultimo la Rai ne trarrà in seguito uno sceneggiato - e opere teatrali che arrivano fino a personaggi illustri come Giovanni Verga, che vede nelle opere della Deledda un richiamo al suo stile letterario. La sua fama raggiunge anche artisti internazionali come David Herbert Lawrence che per lei scriverà la prefazione della traduzione in inglese de “La madre”.

manoscritto originale di Canne al vento di Grazia Deledda
Manoscritto originale di "Canne al vento"

A sua volta anche la Deledda diventa una traduttrice e un’insegnante di lettere all’Asilo Lazio creato dalla Società Podistica Lazio nel 1915. Tra coloro che non esprimono consensi per l’autrice sarda c’è invece Luigi Pirandello che non ne apprezza lo stile e trova inammissibile la sua situazione familiare nella quale i ruoli tra marito e moglie sono invertiti. Arriva persino a rivolgersi a Palmiro con l’appellativo di “Grazio Deleddo”, come a schernire la sua posizione subalterna poco virile, ridicolizzandolo con un romanzo dal titolo “Suo marito” con il quale ironizza sul protagonista caduto in disgrazia perché succube della moglie.

Le critiche vengono messe da parte, soprattutto dopo il 10 dicembre 1927, giorno che le stravolge la vita con la vittoria del premio Nobel per la letteratura 1926 accompagnato da queste parole: “Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”. Con questo premio Grazia Deledda diventa la seconda donna nel mondo a vincere l'ambito premio e la prima in Italia.

Si spegne nel 1936 a causa di un tumore al seno di cui soffriva da tempo, lasciando incompiuto il suo ultimo lavoro autobiografico: “Cosima, quasi Grazia” poi edita solo con “Cosima”.

Il genio insito nelle opere della scrittrice sarda è stato ed è studiato nelle scuole e di recente anche il cantante poeta Mariano Deidda le ha dedicato un intero spettacolo plasmando le parole della Deledda in musica affinché non si spenga mai l’interesse verso una delle più grandi pioniere nel campo della letteratura.

Nel 150esimo anno della sua nascita, inoltre, è stata ricordata dalla senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati con un discorso memorabile sull’eredità “morale e culturale” della scrittrice, ricordandone la fame di conoscenza e gli studi da autodidatta: “Una bambina che con penna e inchiostro inizia così a erodere i confini di una società che vorrebbe segregare le sue ambizioni in una rete di vincoli, di regole e tradizioni secolari.

Le ambizioni di una donna che invece alza la testa che rivolge il suo sguardo al mondo e alle sue infinite opportunità e le insegue con coraggio, ostinazione e instancabile determinazione senza tuttavia mai voltare completamente le spalle al proprio passato”.

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