Sofia e Bucarest alla prova del nove

A Sofia e a Bucarest hanno il fiato sospeso. Tra due settimane, il 16 maggio, la Commissione Barroso dovrà fare il punto sullo stato delle cose nei due paesi per verificare se ci siano o no le condizioni per l’adesione all’Ue che, da trattati, è prevista per il 1° gennaio 2007.
Non è certo cosa da poco per i bulgari e i romeni, ma anche per gli altri 25 stati membri. Fin qui del resto si era captato - complice la bocciatura costituzionale in Francia e in Olanda - che a Bruxelles andava prendendo piede l’ipotesi di rallentare il passo con le nuove adesioni (in ballo ci sono Croazia e Turchia) che si vanno trattando. Ma mai fino ad ora si pensava di poter mettere in discussione anche l’inserimento delle due repubbliche ex co. L’accordo stipulato nel 2004 e firmato l’anno scorso prevedeva infatti l’inserimento di Romania e Bulgaria a pieno titolo a partire dall’anno prossimo. Ed ecco invece che i report inviati nella capitale belga dagli osservatori spediti sulle rive del mar Nero piombano un po’ come una mannaia su un’adesione che si dava per acquisita. «La Bulgaria non è affatto pronta a divenire membro dell’Ue, per i suoi deficit tanto negli organismi di polizia che in quelli della giustizia», ha svelato Klaus Jansen, uno degli ispettori europei. Gli ha fatto eco Susette Schuster, magistrato tedesco anche lei inviata in veste di ispettrice a Sofia: «Il sistema giudiziario bulgaro fornisce una chiarissima impressione dello stato di caos del paese». Per la Romania, stesse identiche accuse: polizia lassista, grande corruzione, sistema giudiziario inaffidabile.
Olli Rhen, commissario finlandese all’allargamento, ammette che ci sia ancora da lavorare perché i due paesi raggiungano gli standard previsti, ma non dispera che si possa arrivare al traguardo nei tempi previsti. Michael Leigh, capo del dipartimento interessato nota tra l’altro come «proprio per inseguire le prescrizioni comunitarie, tanto in Romania che in Bulgaria si siano fatti enormi progressi rispetto al passato».
Resta il fatto che per la prima volta affiorano serie perplessità e, con esse, anche qualche non indifferente spina politica. Da sinistra, i socialisti europei in questi giorni, per bocca del loro presidente Poul Rasmussen, vanno dicendo che sarebbe assurdo dare sfogo all’antieuropeismo di una certa destra designando a vittime sacrificali Sofia, dove si sono varate ben 80 nuove leggi in soli 6 mesi, e Bucarest». Dal fronte opposto si batte invece il tasto sulla inammissibilità di aprire le porte a chi non garantisce nemmeno gli standard minimi richiesti a suo tempo per far parte a pieno titolo dell’Unione.
Insomma, un bel pasticcio batte alle porte. Il 16 maggio la commissione dovrà dire la sua: più che possibile che chieda nuovi e più vigorosi sforzi per mettere ordine laddove sono state riscontrate enormi carenze. Poi - come da trattati - la parola passerà al Consiglio europeo di metà giugno.

Sarà allora che Bucarest e Sofia saranno avvertite di un possibile slittamento (come si va mormorando) o la presidenza austriaca preferisce che a tenere chiuse le porte siano, a fine anno, i finlandesi cui passeranno il testimone a luglio? In Italia la questione è fin qui trattata con alto grado di sufficienza. Ma a Bruxelles non sono pochi a pensare che l’avvenire dell’Ue parta proprio da questo nodo.

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