Poche parole. Quasi un tappeto volante sui misteri dItalia. E un piccolo grande rompicapo nato sulla scrivania di Federico Umberto DAmato, lo spione per lungo tempo a capo dellUfficio affari riservati del Viminale. Prima di morire, il 1º agosto 96, DAmato lavorava allautobiografia che sognava di titolare «Memorie e contromemorie di un questore a riposo». Quegli appunti, inediti, ma sequestrati in due riprese dalla magistratura di Roma e Venezia, approdano ora nel documentato libro di un giovane studioso, Giacomo Pacini: «Il cuore occulto del potere». E così la voce postuma di un personaggio discusso e potente, al crocevia di stragi e intrighi, ci porta dove non avremmo mai immaginato: alla presenza di Adriano Sofri, il leader di Lotta continua che negli anni Settanta stava esattamente dallaltra parte della barricata.
Parla di Sofri, labbottonatissimo DAmato, e in pochissime righe apre uno scenario inquietante: «Ci siamo fatti paurose e notturne bottiglie di cognac». Possibile? DAmato mente? O dice la verità? O mischia, come spesso capita a queste latitudini, frammenti di sincerità con spezzoni di bugie? «Tutto può essere - afferma Pacini - si tratta davvero di un appunto striminzito, ma mi chiedo perché mai Amato avrebbe dovuto inventare una frequentazione del genere, oltretutto in un testo che non era una velina destinata ai servizi segreti o a qualche ministro». A complicare il già contorto puzzle cè anche la voce di Sofri che improvvisamente nel maggio 2007, subito dopo luscita del libro di Mario Calabresi «Spingendo la notte più in là», raccontò non richiesto da nessuno un episodio che ora si salda con lappunto del prefetto. Sul Foglio Sofri descrisse proprio un incontro con DAmato: «Una volta uno dei suoi più alti esponenti (dello Stato, ndr) venne a propormi un assassinio in combutta noi e i suoi Affari riservati». E ancora: «Una sera venne a casa mia... Prima che avesse finito gli avevo indicato la porta e lui la prese senza batter ciglio. Dunque quel signore non mi propose di prender parte a un omicidio ma, seppure in un linguaggio da dopobarba, e senza avere il tempo di entrare nel dettaglio, un mazzetto di omicidi».
Ora, con tutta la buona volontà, la narrazione di Sofri pare un fumetto. Inverosimile. O almeno incompiuta. Sfuggente. «Speriamo che Sofri chiarisca la circostanza che è difficile collocare», aggiunge Pacini. Una richiesta condivisa anche dallavvocato Luigi Li Gotti. Li Gotti è lo storico difensore della famiglia Calabresi nella tortuosa saga giudiziaria conclusa con la condanna di Sofri a 22 anni per lomicidio del commissario Luigi Calabresi, ammazzato a Milano il 17 maggio 1972. Pure per Li Gotti il racconto di Sofri non chiarisce e ora lappunto di DAmato trasforma quella vicenda in un mistero double face. «Attenzione - spiega il penalista - nei primi anni Settanta Lotta continua era un movimento molto potente e al suo interno stava nascendo, fra svolte e controsvolte, il mostro del terrorismo. In quel periodo, perfino le Brigate rosse, che erano ancora un modesto gruppetto, chiesero aiuto, o meglio unalleanza strategica, a Lc. Che, a quanto pare, rifiutò. Sofri non ha mai spiegato questo lato di Lotta continua, ma noi sappiamo che il movimento aveva una struttura armata, rapinava le armerie e progettava omicidi. Insomma, poteva essere un obiettivo molto interessante per DAmato».
A voler seguire tutte le piste cè da smarrirsi nella caverna della dietrologia italiana. Il giudice Guido Salvini, autore di una monumentale indagine sulleversione di destra, aveva scovato una fonte dentro Lotta continua, ad altissimo livello, che fra il 70 e il 72 inviava corposi rapporti ai servizi segreti, in particolare al Sid. Quel «mister X», di ambiente milanese, che partecipava a riunioni con i massimi dirigenti di Lc, tace improvvisamente in coincidenza con lomicidio Calabresi, poi riprende a mandare relazioni. Finché sparisce per sempre nelle brume delleversione. E ancora nelle carte dellindagine sulla strage di Piazza della Loggia cè una nota che riguarda Alberto Caprotti, un militante di Lc: nella sua agenda cerano due numeri di telefono di DAmato.
Una storia che più si scava e più singarbuglia.
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