Un sogno in un pugno Bossi ha (quasi) vinto la sua Grande Guerra

Dalle manifestazioni anti-Pinochet alle minacce di secessione, il federalismo è stato un chiodo fisso. E il leader della Lega ora esulta

«Quando i miei amici leghisti si proclamavano federalisti, io domandavo loro, un po’ ironico, che cosa ciò volesse dire. Mi rispondevano candidamente: non lo so». Gianfranco Miglio, nel suo livore freddo da intellettuale e da professore tradito dalla Lega, è forse ingeneroso. Ma è certo che il percorso della Lega in questo campo è stato particolarmente vago e ondivago, facendo spesso un uso disinvolto e generico di termini giuridici e storici.
Bossi nasce autonomista, professa un mite federalismo con il governo Berlusconi, poi diventa ultrasecessionista, nel 1996, con la marcia sul Po e la proclamazione di indipendenza della Padania. Nel 1998 fa capolino la devoluzione scozzese. Con un’accezione che ancora non implicava il trasferimento di alcune materie dalla competenza legislativa statale a quella regionale (scuola, sanità e ordine pubblico), secondo il principio della sussidiarietà. Ma consisteva in qualcosa di più netto e rozzo, come spiegò a Pontida: «Noi potremmo andare al governo dell’Italia solo a un patto: che ci sia il parlamento padano, che ci sia la devolution, cioè la divisione in due parlamenti, uno al Nord e l’altro al Sud. Il modello scozzese».
A fargli scoprire questo termine esotico, devolution, è Giulio Tremonti. (...) C’è chi, come il deputato Pio Covre, decide di approfondire l’argomento e sbarca a Londra, allo Scottish Office. Dove lo attende una delusione: «La devolution non è indipendenza, anzi devolution is not a revolution… Gli scozzesi, come i gallesi, non vogliono neanche immaginare un distacco dall’Inghilterra e rabbrividiscono anche a sentir semplicemente pronunciare la parola federalismo, figurarsi secessione».
(...) Comunque sia, la Lega comincia la lunga marcia verso il federalismo e costringe anche gli avversari a rivedere le loro posizioni. Dapprima fortemente ostile, il centrosinistra nel governo dell’Ulivo che va dal 1996 al 2001 si impegna per l’approvazione di un riforma e modifica il Titolo V della Costituzione. Un primo abbozzo, un tentativo molto imperfetto di creare un sistema che potesse contemperare le esigenze unitarie statuali con quelle del decentramento.
(...) Nel 2001 il nuovo governo Berlusconi si inaugura all’insegna di un rinnovato impegno per il federalismo. Un percorso lungo e difficile, contrassegnato da tensioni con An, che teme per l’unità dell’Italia e che preme per rafforzare i poteri del premier. Alla fine, il 16 novembre del 2005 la devolution viene approvata in via definitiva dal Senato, presente Umberto Bossi con famiglia al completo. (...) Dalle tribune, esulta: «Ora la secessione non serve più». Ha vinto la battaglia di una vita, è acclamato come il «Cattaneo della Lega» e, dopo essere stato deriso e ostracizzato per anni, può rivendicare di aver portato la maggioranza del Parlamento a condividere le sue idee. Ma tanto entusiasmo è destinato a spegnersi solo pochi mesi dopo: il 26 giugno 2006, il 61,3 per cento degli italiani, nel referendum confermativo boccia la devolution, che riesce a farcela solo in Lombardia e Veneto. Per la Lega è uno choc, un fallimento. Bisogna ricominciare daccapo.
E si ricomincia, questa volta con il governo Prodi che riprende in mano la bussola e dà segni di voler trovare una «quadra», come direbbe Bossi, proponendo un progetto condiviso. (...) Ma il testo finale non verrà approvato dall’aula. Non è un caso, forse, perché il federalismo non è mai entrato nel Dna della sinistra, che se n’è appropriata spesso in chiave demagogica per rassicurare gli elettori del Nord e per cercare di recuperare terreno sulla Lega. Ma che continua ad avere una resistenza ideologica e a nutrire molti dubbi sulla reale efficacia del sistema.
(...

) Ma la sconfitta al referendum non cancella l’esigenza, sentita anche al di là del Carroccio, di un decentramento dei poteri e dei centri decisionali. E così si arriva alle politiche del 2008, nella quale entrano in gioco il federalismo differenziato e il federalismo fiscale.
Alessandro Trocino

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