Polveriera Libia, i ribelli sparano: bomba immigrazione

Nel mirino il premier "commissariato", fragile tregua. Oltre 100 gli italiani rimpatriati

Polveriera Libia, i ribelli sparano: bomba immigrazione
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La Libia è una polveriera destinata a esplodere e a proiettare migliaia di migranti sulle coste italiane. Da giorni il Paese è spaccato da una guerra civile che minaccia anche la nostra comunità italiana. I ribelli chiedono le dimissioni del premier Abdul Hamid Dbeibah, a Tripoli le forze di sicurezza libiche fedeli al governo di unità nazionale hanno aperto il fuoco sui dimostranti che stanno protestando di fronte alla sua residenza. Secondo Al Marsad il centro della capitale libica è sconvolto dagli scontri tra milizie rivali iniziati lunedì scorso, con migliaia di manifestanti in piazza fronteggiati dalla potente Forza di deterrenza speciale (Rada) e da Abdelraouf Kara che negozia con gli oppositori, a cui potrebbe consegnare la base di Mitiga. Kara avrebbe condizionato l'accordo alle dimissioni del governo o la destituzione dei ministri della Difesa e dell'Interno. La rabbia popolare cresce nei quartieri di Abu Salim, Souq al-Jumaa e Tajoura. La repressione e il vuoto istituzionale alimentano il rischio di un'escalation, i mercenari inneggiano al ritorno di Haftar e di Saif al Islam Gheddafi, si muovono anche i responsabili di alcune tribù di Tripoli come i Warfalla. Lo Stato maggiore generale dell'esercito libico monitora la situazione, mentre il comandante della 444ª Brigata di combattimento di Tripoli, il maggiore generale Mahmoud Hamza, ha accusato la Rada e la Polizia giudiziaria di aver tradito Tripoli mentre il presidente del Consiglio presidenziale libico, Mohamed Al-Menfi ha di fatto commissariato il premier.

La tregua per un immediato «cessate il fuoco» ha il merito di aver consentito la lenta evacuazione di tantissimi stranieri da un Paese infuocato, con 100 italiani bloccati a lungo in aeroporto a Misurata che anno fatto rientro in Italia soltanto a tarda notte grazie al nostro ambasciatore Gianluca Alberini. Quello di Tripoli è ancora chiuso. «Stiamo lavorando per garantire la massima sicurezza e incolumità dei nostri concittadini», ha dichiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani.

Dopo l'uccisione del potente capo dell'Apparato di supporto e stabilità, Abdul Ghani al-Kikli nei giorni scorsi la Libia si è trasformata in un campo di battaglia con attentati, morti e feriti anche tra i civili. Tra le unità militari che erano state «sciolte» anche il famigerato esercito guidato dal criminale di guerra Osama Najim al Masri, attualmente ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi). «È lui l'obiettivo dei ribelli», ci dice una fonte vicina al governo libico. Il generale che l'Italia ha rispedito in Libia è «bruciato», come confermerebbe la volontà delle autorità locali e del procuratore generale libico, Siddiq al Sour, di consegnarlo alla Corte penale internazionale, come ha chiesto il Procuratore capo dell'Aja Karim Khan. Già dopo il suo arresto in Italia nella notte tra il 19 e il 20 gennaio scorso, definito «irrituale» dalla Procura generale di Roma, le autorità libiche avevano scritto al nostro esecutivo tramite l'ambasciatore italiano chiedendo di farlo rimpatriare perché l'avrebbero processato loro per i crimini commessi nella prigione di Mitiga di cui era direttore.

La crisi politica e l'uscita di scena di Almasri, vivo o morto, potrebbero far riesplodere la bomba migratoria nelle nostre coste.

Dopo l'arresto del criminale di guerra a Torino alla fine della partita Juve-Milan alla quale aveva assistito, c'era stata una fiammata di sbarchi, tutto o quasi partiti dal porto di Zuwara finito temporaneamente in mano ai ribelli. Mentre si erano moltiplicate le minacce contro i nostri connazionali, le nostre ambasciate e persino i pozzi petroliferi.

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