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Soldi ai Ds, «i Pm mi dissero di non fare i nomi»

Milano«Me lo ricordo come fosse oggi. Tavaroli era nel suo ufficio in Telecom, in piedi, con il Sole 24 Ore sul tavolo. Il giornale riportava una tabella con la composizione dell’azionariato della Bell. Giuliano puntava il dito sulla voce “Oak Fund”. Diceva: “Questi sono i comunisti. Indaga. Nessun limite di spesa. Chiama lo svizzero”».
Sono le 11 di ieri mattina, a Palazzo di giustizia di Milano. Nella grande aula della Corte d’assise cerca di prendere il via - tra mille intoppi - l’udienza che deve celebrare un singolare autodafè giudiziario: la distruzione delle migliaia di dossier raccolti illegalmente dall’ufficio «security» di Telecom sotto la guida di Giuliano Tavaroli, all’epoca in cui presidente era Marco Tronchetti Provera. Su quei dossier si è scritto di tutto. Ora, dice la legge Mastella, approvata precipitosamente proprio a questo scopo, devono essere distrutti. Sarà davvero così? Di sicuro, se anche i dossier verranno mandati al rogo, non si potrà mandare al rogo chi quei dossier ha raccolti, e sa perfettamente cosa c’è dentro. A partire dal toscanaccio tarchiato che passeggia su e giù, fuori dall’aula: Emanuele Cipriani, investigatore privato, l’uomo di fiducia di Tavaroli. Per conto del quale ha realizzato migliaia e migliaia di indagini. Compresa quella - nome in codice «New Entry» - sul misterioso Oak Fund, azionista della compagnia telefonica Bell. Indagine che portava dritta dritta ai vertici della Quercia. E che, quando venne trovata dalla Procura, venne - lo dice il giudice Mariolina Panasiti, nella sentenza di pochi giorni fa - sottovalutata al punto di venire rubricata tra i «fatti non costituenti reato».
«Chiama lo svizzero», disse Tavaroli a Cipriani. Ovvero John Poa, ovvero John Dollar Bea, costoso ed efficiente segugio di segreti bancari e societari. Furono i dodici rapporti di Poa, poi riassunti e sottoposti da Tavaroli a Tronchetti Provera sotto forma di «executive summary», a confermare la traccia: raccontando come di passaggio in passaggio, da un paradiso fiscale all’altro, si arrivasse fino agli uomini di vertice dei Ds. Così, almeno, ha raccontato Cipriani nei suoi lunghi interrogatori davanti ai Pm di Milano. E la reazione dei Pm di Milano - così come la ricorda l’investigatore - merita di essere raccontata: a partire da un incredibile interrogatorio iniziato, prima che si accendesse il registratore, con l’ammonizione: «Mi raccomando, non faccia nomi». I nomi, invece, Cipriani li fece: quelli di alcuni esponenti politici dei Ds. Il Pm lo guardò storto. Quando Cipriani andò a rileggere la trascrizione di quell’interrogatorio, scoprì che al posto dei nomi dei politici c’erano solo dei puntini di sospensione.
O come l’altra storia, ancora più pazzesca, della macchia che nel rapporto finale di John Poa rende illeggibili proprio i nomi dei beneficiari delle azioni Bell. Possibile? «La macchia c’era. Ma non era poi così importante. Sotto la macchia c’erano i nomi di chi operava sul conto. Ma i nomi dei politici erano in alto, perfettamente leggibili». Dov’è finito, quel foglio? Durante un interrogatorio i Pm dicono a Cipriani che non si trova da nessuna parte, anzi loro non l’hanno proprio mai visto. Lui insiste. Se non c’è, dice, è perché è stato tolto. Ma un maresciallo della Finanza che assiste all’interrogatorio si alza, esce dall’ufficio, torna dopo venti minuti e dice ai Pm: «Eh sì, il foglio c’è».
Va avanti e indietro, Cipriani, nell’androne del palazzo di giustizia. Quel foglio, come i milioni di altri raccolti in tanti anni, adesso è nelle mani di un giudice, pronto per essere distrutto per sempre, insieme alla storia dei fondi esteri dei Democratici di sinistra. Andrà davvero così? La Procura, in queste ore, si giustifica dicendo che in realtà stralciare il rapporto «New Entry» fu un modo per toglierlo dal mucchio, evidenziarlo, iniziare a scavare. Un fascicolo, dicono, venne aperto. Ma John Poa, quando venne convocato per essere interrogato, si guardò bene dal presentarsi. E la faccenda morì lì.
«Eppure...», dice Cipriani. E intende: eppure si poteva scavare, bastava volerlo. «I Pm mi dicevano: “Lei fa in fretta, le basta una fotocopia arrivata chissà come, a noi invece servono rogatorie, timbri, ufficialità, e poi le Isole Cayman non ci risponderanno mai”. Io risposi: “Guardate che questa storia dell’Oak Fund e dei Ds mica si svolge tutta alle Cayman. Ci sono personaggi che sono qui, in Italia. Ce n’è uno, in particolare... ha presente il compagno G? Primo Greganti? Quello che teneva i conti del Pci ai tempi di Mani pulite? Ecco, un altro come lui. Voi lo chiamate, lo interrogate, e ditegli pure che Cipriani dice di avere le prove che dietro quel fondo c’è proprio lui, e se vuole mi quereli pure”. Gli diedi il nome. Ma non lo hanno mai interrogato».

Chissà perché.

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