Caro Direttore, dalla piazza di San Pier d'Arena («Anche a Genova il razzismo finisce in panchina») al Presepe di Oregina (a firma di Federico Casabella, cui si aggiunge, il giorno dopo, il commento pepato di Mario Borghezio) si può fare un singolare tour natalizio per le strade della bella Genova, segnalando ancora una volta la cultura della resa che l'area cattolico-comunista, nel suo complesso, riesce a esprimere. Altro che «resistere, resistere, resistere» del desaparecido Francesco Saverio Borrelli! Intendiamoci: l'avvenimento modesto ma significativo che Lei segnalava nel suo fondo del 23 u.s è cosa ben diversa dall'evento di Oregina. E tuttavia è difficile resistere alla tentazione di ricondurli ad un'unica matrice. Lei da ottimista, non necessariamente per influenza del clima natalizio, constatava a proposito della celebre panchina (e di tutte le tiritere sul razzismo di Gentilini attivate dal comune di Genova, e dai suoi attachés culturali) «Solo, undici anni dopo. Benvenuti nel mondo del buon senso». Il guaio è che, almeno da noi, in Italia, il buon senso arriva ma troppo in ritardo. Infatti molti, con idee - in anticipo - di centrodestra hanno predicato a lungo invano. Se al tempo dell'ultima presidenza di Bettino Craxi il fenomeno dell'immigrazione venne governato anche attraverso intese personali dell'allora primo ministro con i governi della Tunisia e del Marocco, dopo - a causa dell'assedio della magistratura alle forze politiche, nel periodo di Tangentopoli - la situazione sfuggì progressivamente di mano. Questa fu l'impressione (e la realtà) in barba a tutte le leggi (e leggine) per contrastare il fenomeno (che si accentuò ben oltre lo stretto necessario, alle esigenze dell'economia nazionale). Una marea di controfigure (dei pionieri del passato), più o meno intellettualizzate, adoperarono l'arma del razzismo (con l'alibi umanitario) per coprire - lo sapessero oppure no - i più singolari interessi che si venivano sviluppando in loco e oltre frontiera.
La conclusione è semplice e amara al tempo stesso: abbiamo probabilmente più di un milione e mezzo di persone rispetto a quelle che ci dovrebbero effettivamente essere per motivi di lavoro (familiari compresi). (...)
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