di Edoardo Berti Riboli*
Le sale operatorie degli ospedali africani in cui ho lavorato sono diverse dalle nostre e sicuramente molto più semplici e spoglie. Da noi la tecnologia è evidente e dimostrata dalla presenza di apparecchiature sofisticate in locali dai colori tenui e dagli arredi di alluminio lucido che evidenziano la pulizia e l'asetticità dell'ambiente. Le lampade emettono raggi ultravioletti per combattere le infezioni e dal soffitto scendono le scialitiche, grandi lampade che illuminano il campo operatorio. L'impressione che se ne riceve visitandole è di trovarsi all'interno di un'astronave.
Le sale operatorie che si vedono in Africa, soprattutto negli ospedali più piccoli, sono quanto di più vario si possa immaginare. Non tutti gli ospedali ne hanno una, a volte vengono usati spazi adibiti anche ad altro scopo. Se ci sono, vengono in genere ricavate da comuni stanze. Naturalmente non vengono seguite nemmeno le norme igieniche più elementari, che prevedono un luogo chiuso e sterile; senza andirivieni di persone e cose. Invece qui è tutto il contrario: ci sono grandi finestre che servono come fonte di luce e di aerazione, per rinfrescare l'ambiente dopo interventi settici e maleodoranti; ma a volte da quelle finestre, entra qualche farfalla o moscone e ciò dà inizio a battaglie terribili con squadre di cacciatori armati di qualsiasi oggetto adatto ad eliminare l'intruso! Sul soffitto ci sono spesso i ventilatori con grandi pale per dare un po' di sollievo dal caldo mentre si lavora. Le pareti sono di colore sgargiante, il pavimento è ricoperto da piastrelle di recupero tutte diverse tra loro, le apparecchiature sono poche ed antiquate. Alle pareti ci sono gli scaffali di legno con i pochi farmaci disponibili, i fili di sutura, i teli di cotone puliti. Si comprende che siamo in una sala operatoria solamente perché dal centro del soffitto scende una lampada più grande del solito ed immediatamente sotto vi è il letto operatorio. L'impressione è diversa da quella dell'astronave ma la luce solare ed i colori alle pareti ne fanno senz'altro un ambiente più familiare ed allegro. Il paziente in attesa dell'operazione può arrivare camminando e sorreggendo lui stesso la flebo che gli sta scorrendo nel braccio, indossando un camicione bianco sotto il quale è completamente nudo. Gli strumenti chirurgici sono solo quelli essenziali: il bisturi, alcune forbici, un paio di divaricatori e qualche pinza emostatica. Da un lato fare la strumentista è quindi più facile, ma la rapidità con la quale devono essere dati gli strumenti, come muoversi intorno al tavolo e cosa fare per aiutare al meglio chi sta operando non è certo banale. Le infermiere di questi ospedali devono essere versatili e saper adattarsi in pochi giorni alle abitudini ed alle necessità dei medici volontari che arrivano, lavorano per un po' e poi ripartono. Gli ospedali possono restare per mesi privi di alcun medico: proprio durante questi periodi le infermiere della sala operatoria si sostituiscono ai chirurghi eseguendo gli interventi più semplici da sole.
Martine, uninfermiera del nostro ospedale, sa fare tutto questo con grande entusiasmo. Pur non avendo un viso particolarmente bello la sua espressione sempre allegra e vivace la rende estremamente gradevole. Quando non è impegnata nel suo lavoro scherza e ride quasi sempre; quando non ha il camice porta sempre gonne lunghe e colorate che sul suo corpo alto e slanciato danno l'impressione di una eleganza eccessiva e stridente rispetto all'ambiente.
Mi ha parlato del suo matrimonio con il solito modo scanzonato ma quanto siano profondi i suoi sentimenti non lo dirà mai nè intende farlo capire. La riservatezza ed il pudore per gli africani sono valori molto importanti e assolutamente irrinunciabili.
*direttore del dipartimento
di Chirurgia
Università di Genova
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