Caro Granzotto, oggi, 7 ottobre, cade lanniversario della battaglia di Lepanto che metteva fine alla Crociata indetta dal Papa Pio IV per liberare l'isola di Cipro conquistata da poco dai Turchi. Non le scrivo per ricordare questa data o per trovare delle similitudini con la situazione attuale. Il motivo è questo: il Sultano di allora era Selim II «Mast» (Ubriacone), figlio maggiore di Solimano il Magnifico. Se era chiamato l'Ubriacone, significa che beveva vino o altri alcolici. Era dunque lecito per i mussulmani di quei tempi? E se così era, da quando divenne proibita lassunzione di alcolici?
Al Sultano di Lepanto l'epiteto di ubriacone calzava a pennello, caro Rossetto: sempre attaccato alla bottiglia, fosse di buon vino o d'acquavite. Egli era ovviamente consapevole di infrangere così un comandamento coranico, ma essendo persuaso che in considerazione del suo rango Allah avrebbe chiuso un occhio, trincava come e più d'un cosacco. D'aspetto bruttissimo, il viso gonfio e deturpato dall'abuso di alcol, Solimano aveva membra sproporzionate che lo facevano in qualche modo mostruoso. Avaro, sordido, lussurioso e incontinente, precipitoso in ogni sua azione, era uomo di notevole intelligenza e grande astuzia, ma come politico valeva zero, burattino nelle mani della potente lobby rosa del Topkapi. Se non ci avesse pensato mamma Rosellana, una russa che l'altro Solimano, il Magnifico, aveva addizionato al suo harem, era destinato a morir giovane. Una inveterata consuetudine della Sublime Porta pretendeva infatti che per agevolare l'ascesa al trono del sultanico primogenito, i maschi a seguire fossero fatti fuori mediante strangolamento. E il Magnifico aveva avuto, da una precedente concubina, un erede. Destinato a succedergli se la bella e tosta Rosellana non avesse convinto il consorte che Mustafà - così si chiamava lo sventurato - tramava alle sue spalle. Inutile aggiungere che Solimano non ci mise né due né tre a farlo fuori (sempre mediante strangolamento).
Anche il secondo Solimano - lubriacone per la cristianità, il biondo, «Sari», per i sudditi - ebbe una preferita esotica: la veneziana Cecilia Venier-Baffo, nipote del Doge Sebastiano Veniero. Su come si fosse infilata nel sultanesco talamo gli storici divergono: v'è chi sostiene che la fanciulla venne rapita e fatta schiava nel corso di una delle tante scorrerie turche, chi invece è dell'opinione che fu proprio il Doge a offrirla su un piatto d'argento a Solimano (erano i tempi in cui Venezia praticava il «dialogo». Causa di tanti di quei guai, sciagure e lutti da rendere inevitabile Lepanto). A Costantinopoli Cecilia era chiamata Nur Banu, la «Principessa della luce». Le spettava altresì l'ambito titolo di valid sultan - cioè madre del sultano - per aver dato a Solimano un maschio, Murad, che in effetti salì al trono alla morte del padre. Donna potentissima e intrigantissima era in corrispondenza con Elisabetta I d'Inghilterra e con Caterina de' Medici, entrambe della stessa razza: potentissime e intrigantissime. Morì avvelenata, faccenda non inconsueta sulle rive del Bosforo.
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