Festival di Sanremo

Solita liturgia e solite critiche ma la Rai persevera

Dopo il primo - deludente - giorno, siamo già alla «fiducia a Pippo Baudo». Come per gli allenatori traballanti. Quando, per rasserenare l’ambiente, il presidente ribadisce la convinzione di aver scelto l’uomo giusto, tanto per allontanare il fantasma che si aggira sulla panchina del mister in difficoltà. L’anno scorso, fu lo stesso Del Noce a evocarlo in una cena che doveva restare privata, ma il nome di Bonolis - con lui avremmo avuto un pubblico più giovane... - finì su tutti giornali. E scoppiò il caos che sappiamo. Stavolta il direttore di Raiuno ha scelto di puntellare il supermattatore dell’Ariston: «Il programma mi è piaciuto molto» ha detto commentando i dati «sorprendenti» del crollo degli ascolti nella serata d’esordio (vedi grafico in queste pagine). «Ci aspettavamo di più, è vero... Ma i conti si fanno alla fine. E ribadisco la piena fiducia ai conduttori nella certezza che il festival continuerà con successo». In soccorso all’ottimismo di Del Noce è arrivato il boom di Chi l’ha visto?, con la diretta per il ritrovamento del corpo dei fratellini di Gravina. Un fatto di cronaca che ha scosso l’opinione pubblica e attivato i telecomandi.
Dunque, per lo stato maggiore della Rai tutto va ben... Sarà. Però, l’alibi perfetto del successo di Chi l’ha visto? non basta a nascondere la progressiva consunzione del rito sanremese. Che dire? Questo articolo è stato scritto, più o meno simile, anche negli anni scorsi, dopo le prime avvisaglie di crisi. Tutti i commentatori hanno osservato che il festival non è più sintonizzato con la parte più moderna del Paese, che non intercetta i giovani, sempre più abituati ai ritmi del web e dell’Ipod. Durante l’esibizione di Amedeo Minghi, i nostri figli hanno mandato quattro sms, chattato con la community dei Tokio Hotel, resettato la playstation per una nuova partita...
Dalle edizioni di fine Novecento, quelle di Fabio Fazio, i tentativi di cambiamento della liturgia scarseggiano. Negli ultimi otto anni l’hanno officiata Raffaella Carrà, Simona Ventura, Paolo Bonolis e Giorgio Panariello. Per le quattro rimanenti, la Rai si è affidata a Baudo, un superprofessionista inossidabile sopravvissuto al crollo del muro di Berlino, alla fine della Dc e della seconda Repubblica. Che, però, conosce solo un modulo di gioco, quello del festivalone nazional-popolare. Non basta rimescolare gli ingredienti per servire un piatto nuovo. L’ospite italiano, quello straniero, le vallette bionda e bruna, il cantante-nostalgia, la spalla impertinente, la band che fa rétro: cambiando l’ordine dei fattori il prodotto peggiora. Anche perché le risorse calano e le superstar sbuffano. Tutto già scritto. E allora? Allora errare è umano, perseverare..

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