Non ci si può fidare degli uomini super partes. Prendete il presidente della Camera, uno che cammina come se avesse un’istituzione nello stomaco. Non appena ha saputo che i carabinieri stavano organizzando una caccia al tesoro negli uffici di questo giornale ha chiamato Emma Marcegaglia per condividere con lei timori e paure. Poi ha chiesto al suo portavoce di raccontare un po’ in giro questa telefonata. L’importante per l’onorevole Gianfranco Fini è smarcarsi dalla destra sporca, brutta e cattiva. Solo che poteva aspettare almeno uno straccio di prova prima di sbilanciare tutto il peso della terza carica dello Stato contro il Giornale . O si fida a occhi chiusi delle inchieste di Woodcock? Sì, proprio lui, quello che Fini nel 2006 definiva un «pm fantasioso», un «signore che in un Paese normale avrebbe già cambiato mestiere». A quanto pare non siamo un Paese normale. Il guaio di Fini è sempre lo stesso. Non si accontenta mai di un solo ruolo. A lui piace l’idea di mostrarsi agli italiani come una persona carica di dignitas e auctoritas , per dirla alla romana, ma non riesce a rinunciare all’ambizione di comandare il suo orticello, e ogni tanto gli scappa la tentazione da leader di parte. E tra il Giornale e il vertice della Confindustria, lui, presidente della Camera alto, distinto e imparziale, non ha dubbi su chi scegliere. Emma tutta la vita. Non è un reato. Però, cavolo, un po’ di rispetto per il ruolo che ricopre e per quello che dice dovrebbe averlo. Qui si sta tanto a blaterare di libertà di stampa, ma lo spettacolo di u n manipolo di carabinieri che setaccia una redazione sa tanto di bavaglio. Anche perché, e questo è u n fatto, il dossier anti Marcegaglia non esiste. È una bufala. È la paura di chi si sente fragile. È la conseguenza irrazionale di un braccio di ferro cazzaro tra un giornalista e un ufficio stampa. Le intercettazioni, purtroppo, hanno questo di brutto: sono stupide. Non hanno tono. Non hanno colore. Non si capisce mai dove c’è farsa e dove tragedia. Sono una realtà piatta e senza sfumature. Il senso ce lo mette chi ascolta. Qualche volta con troppa fantasia. Purtroppo Fini da quando si sente Di Pietro confonde l a legalità con il giustizialismo. L’unica differenza è che Tonino è meno banale, meno scontato. Ora per esempio Fini si è fissato con l’antimafia. Per anni sì e no sapeva dove stava la Sicilia. Nessuno lo aveva mai visto in prima fila alle manifestazioni del suo stesso partito in memoria di Borsellino. Se non ci crede il presidente della Camera può farsi rinfrescare la memoria dai ragazzi della Meloni. Quei giovani d i destra che in Sicilia sono anni che si battono contro la mafia. Se chiedi a loro quanto tempo Fini ha speso per loro, la risposta è: u n quarto d’ora. Una volta, anni fa, una scappata e via. Ed era perfino distratto. Ora Gianfranco appena può scappa a Palermo. Stringe la mano a Lombard o e ripete a memoria i l bignami della legalità. Che dice Fini? Bisogna rompere il legame tra mafia e politica. Sacrosanto. Fare affermazioni del genere non c osta nulla. Questa è l’abilità di Fini. In tutti questi mesi di antiberlusconismo non ha mai rotto davvero sulla linea politica con qualcos a d i innovativo, forte e dissacrante. Un po’ di coraggio lo ha mostrato sulla bioetica, ma è una campagna che deve in gran parte alle sue frequentazioni radicali. Per il resto ha scelto l’opinione più orecchiabile sul mercato. È una sorta di sindrome di Sanremo. Farsi votare rincorrendo un giro di do. L’importante, e questo è il sale del neofinismo, è mostrarsi chiaramente e senza ambiguità u n berlusconiano con i l vestito da antiberlusconiano. È u n Berlusconi i n sedicesimo che non sopporta più di guardarsi allo specchio. E in questo, bisogna ammetterlo, Gianfranco è veramente bravo. L’unico vero difetto è l’ambiguità. Gli osservatori politici sono mesi che si chiedono chi sia davvero Gianfranco Fini. Cosa vuole davvero? A che gioco sta giocando? Non è facile capirlo, perché ogni giorno scantona d a quello precedente. L’altroieri tutti i finiani raccontavano che si poteva fare un accordo con il Pdl. Basta guerre civili. Doveva essere l a vittoria delle colombe. Ok. Fini resta nella maggioranza. È andato via, ma resta fedele al voto degli elettori. Poi però, appena i mediatori si distraggono, Fini riporta alta la tensione, lascia partire un altro calcetto sugli stinchi.
Si cerca l a pace sui temi della giustizia e lui va a farsi intervistare ad Annozero , l’ultimo grande salotto della destra «secolarina», per discostarsi dalla maggioranza d i cui continua a sentirsi parte. È fatto così. Ormai ha fretta di cambiare spesso idea. Woodcock? Un eroe della libertà di stampa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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