La solitudine degli amanti nella città indifferente

«L’urlo d’amore e d’odio si incontra solo nell’opera e presso la gente più incolta, che sono poi la stessa cosa» scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa in vena di polemiche. Ecco, qui c’è un romanzo dove di urli non si trova neanche l’ombra. L’amore c’è ma nella variante silente, un medico di Parigi che lascia l’amante trentenne, senza parole e senza una reazione da parte di lei. E l’odio pure: c’è una manager incastrata in un mobbing spietato. Ma tutti e due non possono o non vogliono dire i loro guai. Con un rischio ulteriore, quello che i due protagonisti non si incrocino, perché la vita non è come il cinema o la fiction, nella vita reale «le persone disperate non s’incontrano». Stiamo parlando dell’ultimo libro di Delphine de Vigan, Le ore sotterranee (Mondadori, pagg. 219, euro 19).
La De Vigan, che ha lavorato fino al 2007 come manager in un istituto di statistiche, ed è nota al pubblico italiano in particolare per il suo precedente romanzo, Gli effetti secondari dei sogni, stasera sarà al festival Letterature di Roma, alla Basilica di Massenzio. Presenterà un originale sul tema «Addomesticare la vita», insieme a Michela Marzano e Anita Nair. «Scrivendo questo libro ho voluto svelare le violenze silenziose della nostra epoca - dice la De Vigan al Giornale - I due personaggi del mio libro, Mathilde e Thibault, sono vittime di violenze nient’affatto spettacolari, ma che riescono a rosicchiare l’anima delle persone». Il tema della persecuzione sul posto di lavoro nei confronti di una donna potrebbe far parlare di un libro sulla condizione femminile, ma non è così. «Ho parlato della situazione del lavoro di oggi, un tema assolutamente universale, e della solitudine nascosta della città. Nel libro c’è una visione negativa, kafkiana ma in chiave contemporanea, della società. Tutto qui». Insomma, l’idea antica e romantica di una risoluzione, di una resa dei conti, di uno showdown col destino o con se stessi viene elusa continuamente. Né l’amore, grande pascolo di poesia soprattutto nella sua variante dolorosa può aiutare a specchiarsi in qualcuno, o in una perdita: «la ferita d’amore non promette niente, né dopo, né altrove» scrive la De Vigan.
Insomma, la De Vigan, che riconosce come brodo primordiale e spunto creativo Flaubert e Maupassant ma è passata, tra l’altro, attraverso l’opera omnia di Italo Calvino, con Le ore sotterranee vuole fare letteratura di intrattenimento, ma con un piglio di sperimentazione: «Il mio ideale sarebbe predisporre un dispositivo romanzesco preciso e anche crudo per poi giocare con l’aspettativa di fiction del lettore - spiega -.

Il romanzo distrugge i codici della fiction, è vero. Ma il fatto stesso che il lettore desideri che i due personaggi del mio libro si incontrino dimostra una sola cosa: dai codici e dalle strutture del romanzo non si esce».

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