Milano Qualcuno nel suo partito dice che Gianfranco Fini «lo fa apposta per far perdere il Pdl» o almeno per evitare che stravinca, e considera le sue missioni istituzionali sofisticate azioni di guerriglia. Prendiamo quel che è successo ieri: a cinque giorni dal voto il presidente della Camera si presenta a Milano, nella Lombardia smossa dai venti leghisti, per dire che vuole «la cittadinanza celere per i bambini degli immigrati». Aggiunge che «se non fosse per il tasso di natalità degli extracomunitari, saremmo in una condizione di allarme rosso» e «meno male che ci sono le coppie e i lavoratori stranieri» e «come si fa a non affrontare il tema della cittadinanza?».
Parole chiare, difficili da far accettare nel tempo breve che separa dal momento della croce sulla scheda, in una regione in cui la sfida sembra tra Pdl e Lega. Sarà per questo che Fini a Milano si ritrova solo. Il partito non sopporta di buon grado dissertazioni adatte a momenti più lontani dai seggi e abbandona il brevettatore della Bossi-Fini mentre cede meriti e diritti di copyright al Carroccio. An non partecipa alla mattinata con il cofondatore del Pdl.
«Prescindiamo dalla campagna elettorale» dice Fini nella sede dei Paolini, gomito a gomito con don Antonio Sciortino alla presentazione del rapporto famiglia del Cisf. Non è facile prescindere. Il direttore di Famiglia Cristiana, noto per le abbondanti critiche alla politica del governo, incalza: «Dopo il Family day non è stato fatto nulla». Fini va per la sua strada: «Vogliamo negare ai giovani immigrati di sentirsi orgogliosamente parte della comunità nazionale?».
Assente il ministro della Difesa e coordinatore nazionale del partito. Ignazio La Russa sceglie un caffè elettorale in un bar milanese per solidarizzare a distanza («è la posizione di An») e circoscrivere il campo «ai bambini di genitori immigrati in Italia regolarmente». Poi, incalzato su temi limitrofi e spinosi, taglia corto: «Non capisco perché durante la campagna elettorale si debba parlare d’altro».
Alcuni sono più espliciti. Si smarca l’ex An Massimo Corsaro: «Dare la cittadinanza ai figli dei clandestini, rischia di diventare un espediente per regolarizzare i genitori. È legittimo che lui lo pensi, ma io non sono d’accordo». Il vicecoordinatore regionale del Pdl osserva: «Per trent’anni Fini è stato un cavallo di razza della campagna elettorale, attento ai toni e alle sfumature, a non sfiorare temi non accattivanti per il nostro lettorato. Adesso ha scelto un profilo istituzionale al punto che non solo non partecipa alle manifestazioni, ma non comunica ai dirigenti del Pdl i suoi spostamenti. È una sua scelta... ».
Come confessa scherzosamente un ex An, «il nostro incubo è che da un giorno all’altro arrivi la telefonata di Bocchino che ci chiede di entrare nella corrente di Fini». Carlo Fidanza, europarlamentare e membro della direzione nazionale del Pdl, vicino all’area di Alemanno, si interroga sul calendario preelettorale del presidente della Camera: «Sgombrato il campo dall'ipotesi che Fini fondi un altro partito, il suo richiamo costante a costruire il Pdl e i temi che pone possono essere uno stimolo utile. Ecco, poi magari sul tempismo ho qualche riserva. Si discute meglio quando si vincono le elezioni... E noi in questi giorni pensiamo solo a questo». Il vicesindaco di Milano e storico esponente di An, Riccardo De Corato, borbotta: «Nessuno ci ha informati della sua presenza a Milano e io sono in giro per comizi». Non c’era neanche lui ieri mattina.
La marcia solitaria di Fini ha fatto già tappa milanese il 27 febbraio, giorno di apertura della campagna elettorale di Roberto Formigoni. Tutto il Pdl al Teatro Dal Verme, tutto tranne Gianfranco Fini, anche lui a Milano ma al Teatro Parenti con l’associazione «Libertiamo» a discutere di mercato. Poi la manifestazione romana disertata.
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