Sollima: i violoncelli «cantano» aromi colti e echi di Jimi Hendrix

En plein alla Scala domenica pomeriggio: teatro pieno, pubblico giovane, strumentisti dell’orchestra in scena come gruppo da camera, musica d’avanguardia, successo strepitoso. Come mai? La presenza di Giovanni Sollima, con un programma di sette pezzi scritti o arrangiati da lui, per tredici violoncelli, uno o due dei quali solisti. Tutti coloro che trafficano nella musica d’oggi per conciliare l’invenzione d’un linguaggio con la comunicativa, per dare spontaneità all’estrema complessità dell’oggi, si facciano dare una registrazione, se c’è, del concerto e se lo facciano anche raccontare. Non per imitarne la composizione: Sollima è avvolto d’un fascino tutto suo che al violoncello si esprime tanto nel virtuosismo trascinante che nelle semplicità più disarmate e si nutre di sapienza classica, di echi arcaici siculi ed arabi, di rock e di tutto quello che gli passi per l’orecchio teso ad ascoltare voci e rumori del mondo, inimitabilmente. Ma per apprenderne la lezione di coraggio e di libertà.

Dalle trascrizioni dei barocchi all’omaggio a Jimi Hendrix al suo ultimo soggiogante Concerto rotondo, abbiamo tutti visto 13 violoncellisti dialogare in musica fra loro, con primitiva evidenza, con esperta professionalità, con divertita prontezza, invitandoci a saltare in un ogni momento dentro al cerchio felice della loro amicizia.

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