Portare i ragazzi a scuola, era un'impresa. I pochi presenti in classe, alla domanda: «Ma dove sono finiti gli altri?» rispondevano: «Stanno a faticare», «Stanno dormendo», «Stanno alla sala-giochi». La regola era di segnalare gli inadempienti al segretario, che li avrebbe segnalati all'assistente sociale, che avrebbe dovuto prendere contatto con i genitori. Ma siccome i genitori facevano paura, il più delle volte la comunicazione restava lettera morta. Ben conoscendo questa realtà, andavo direttamente sui luoghi di lavoro (officine meccaniche, panetterie ecc.) o, nei casi più ostinati di inadempienza, dai carabinieri, alcuni dei quali si limitavano a scribacchiare qualcosa.
Ho fatto un po' di autobiografia solo per far capire quanto mi stia a cuore che un bambino frequenti la scuola. Ma che scuola? un'istituzione che persegua finalità educative, che abbia per fine la formazione dell'uomo e del cittadino, che favorisca la socializzazione, che contribuisca alla formazione di un costume di reciproca comprensione e di rispetto anche in materia di credo religioso. Una scuola che «la pensa» in modo diverso, non è una scuola, e io non farei niente per portarci gli studenti, anzi farei di tutto per rimandarli a casa se essa si proponesse come un modello di illegalità e di intolleranza religiosa.
È il caso, mi pare, della scuola di via Ventura. Una scuola «dannosa e diseducativa», come l'ha definitiva uno stesso iman (Yahya Pallavicini). Dannosa per gli alunni, che non riuscirebbero a integrarsi in nessun'altra scuola, e dannosa per gli italiani, poiché, a dispetto di tutte le «garanzie» di chi la promuove («Questa è una scuola laica: se un buddista o un cristiano vuole venire, può iscriversi») nessuno può escludere che col tempo (o subito?) diventi un centro di indottrinamento «per avvelenare le coscienze e preparare il terreno a comportamenti che possono sfociare anche in forme di terrorismo» (Gasparri). Diseducativa perché, con l'esempio di certi professori, insegna a «infischiarsene» delle leggi dello Stato: «Non c'è alcun problema se non abbiamo l'autorizzazione» ha dichiarato un insegnante egiziano, spingendo un gruppo di alunni a scuola.
Solo una scuola che insegna la tolleranza garantisce (almeno, promuove) l'integrazione, e questo per fortuna l'ha capito la maggioranza dei genitori di studenti musulmani residenti in Italia. Gli iscritti alla scuola di via Ventura sono poco più di una sessantina, a fronte di migliaia di arabi che frequentano le scuole statali. La scuola di via Ventura è intitolata a Naghib Mahfuz, premio Nobel nel 1988.
Gli arabi irrispettosi delle leggi e dei costumi italiani, dedichino a qualcun altro la scuola di Milano.
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