Un «focolare per il popolo ebraico». In Germania. Sessantanni dopo lOlocausto, novanta dopo la «dichiarazione Balfour» che sancì questa promessa a nome del governo britannico. La nuova formulazione viene dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, specialista in «soluzioni finali». Aveva detto, al momento di salire al potere a Teheran, che lo Stato ebraico doveva essere «cancellato dalla carta geografica». Stavolta ha parlato alla Mecca e, a una prima impressione, ha rincarato la dose, definendo Israele «un tumore», che va ovviamente estirpato. Ma subito dopo ha aggiunto una proposta che chi abbia una dose sufficiente di senso umoristico può anche definire «costruttiva»: Israele devessere cancellato solo dalla carta geografica del Medio Oriente. Non è affatto necessario che sparisca. Basta trasferirlo: nel cuore dellEuropa. In tal caso lIran e i Paesi arabi saranno ben lieti di riconoscere la sua esistenza e anzi, a quanto si capisce, anche a fargli i loro migliori auguri. Un trasloco, dunque, e la destinazione la indica la storia. Se milioni di ebrei, in buona parte europei e inizialmente soprattutto europei, hanno piantato le tende in Palestina è perché in Europa qualcuno li perseguitava. Questo qualcuno aveva un nome, un cognome e non una ma addirittura due patrie: Adolf Hitler, nato austriaco, diventato tedesco, autore dellAnschluss che dei due Paesi ne fece uno e della Soluzione Finale del «problema ebraico», che consisteva nella eliminazione fisica degli ebrei. Verso questi ultimi, dice Ahmadinejad, lEuropa ha un debito, e in particolare ce lhanno i due Paesi di lingua tedesca in questione. Sia la Germania sia lAustria hanno ammesso la propria responsabilità delloppressione, della persecuzione e del tentato genocidio. Dunque, agiscano di conseguenza, dice luomo di Teheran e risarciscano gli ebrei offrendo loro un pezzo di terra in cui perseguire il sogno sionista e stabilire un proprio Stato. Che i tedeschi e gli austriaci, in sostanza, si «tassino» per i risarcimenti, offrendo un pezzo del loro territorio. Così tutto finirebbe nel modo migliore: gli ebrei continuerebbero ad avere un loro Stato, sia pure traslocato a una certa distanza, gli arabi si riprenderebbero la Palestina e lIslam recupererebbe Gerusalemme come propria città santa.
In un dibattito del genere, di quelli che le università dei Paesi anglosassoni ogni tanto organizzano fra i propri studenti migliori per esercitarli nellarte della dialettica, lidea di Ahmadinejad troverebbe una certa attenzione. In un romanzo di fantapolitica potrebbe anche assicurarle il successo, tale da collocarlo a fianco del Codice da Vinci. Il mondo politico di oggi ha meno voglia di scherzare e infatti le prime reazioni sono state violentissime, e non sono partite da Gerusalemme. Il portavoce della Casa Bianca di Bush non solo ha definito «scandalosa» lidea, ma lha anche immediatamente collegata alle tensioni in corso circa le prospettive che lIran si procuri latomica, e ne ha dedotto che, oggi più che mai, si deve impedire che il regime islamico di Teheran abbia la capacità di dotarsi dellarma nucleare. Una reazione «esplosiva», che Ahmadinejad avrebbe potuto, anzi dovuto attendersi; anche perché non ha parlato alla «debating society» di Harvard o di Oxford, bensì alla Mecca, in occasione di un vertice della Conferenza islamica, alla presenza di personaggi come il padrone di casa, re Abdullah dellArabia Saudita. E lo ha fatto con apparente serietà, collegandosi alla questione palestinese, per cui egli ha rispolverato una soluzione a suo modo «pacifica»: un bel referendum in Palestina, ma, attenzione, in cui siano chiamati a votare coloro che vi abitavano prima della proclamazione dello Stato ebraico; loro o i loro discendenti, dal momento che levento risale a 57 anni fa, dovunque essi si trovino. Dal voto dovrebbero essere esclusi invece coloro che in Palestina sono immigrati dopo il 1948, vale a dire gli ebrei. È una soluzione cui nessuno pensa seriamente nellarea: né evidentemente Israele, né alcuno fra i Paesi islamici che circondano lo Stato ebraico. Non è neppure nei programmi, per dirne una, dellOlp. Il massimo che Arafat abbia chiesto nei colloqui di Oslo e poi di Camp David, è il «diritto al ritorno» per gli abitanti della Palestina espulsi o volontariamente riparati allestero dopo la prima guerra arabo-israeliana. Formula evidentemente inaccettabile perché altererebbe il carattere di Israele, costringendolo, per rimanere uno Stato, o a smettere di essere ebraico o a smettere di essere democratico. La «soluzione danubiana» proposta dallIran assomiglia di più a una trovata da fantascienza (o fantapolitica). Solo che gli autori di quei romanzi non hanno il diritto, né lo chiedono, di essere presi sul serio. Non sappiamo quanto lo creda Ahmadinejad.
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