da Milano
È il caso di dire che la toppa è peggio del buco. A tastare il polso degli italiani sulla vicenda Sircana ci ha infatti pensato la Ferrari Nasi & Grisantelli, società di statistica. La quale, in un sondaggio commissionato dal Giornale, (leggi i risultati) rivela che i cittadini non solo hanno male digerito l’intervento del Garante per censurare alcune foto «pericolose» del portavoce del governo; ma che nell’altolà imposto dall’Autorità per la privacy vedono pure un imprimatur del presidente del Consiglio per non offuscare l’immagine di un proprio uomo.
Più di cinque italiani su dieci (il 53,6 per cento) «ritengono che Romano Prodi abbia fatto fare un provvedimento per proteggere uno dei suoi». Solo il 18,6 per cento è «poco d’accordo» con questa affermazione; per nulla d’accordo il 19,8. Insomma, dietro il divieto di pubblicare foto e notizie compromettenti, gli italiani ci vedono una regìa interessata del Professore. Neppure i giudizi su Francesco Pizzetti, presidente dell’Autorità sulla privacy, sono teneri. La maggioranza degli italiani pensa infatti che il suo intervento sia giunto in tempi sospetti. Alla seguente affermazione «In altre vicende simili, come nel caso di Vittorio Emanuele di Savoia, il Garante non ha fatto praticamente nulla per proteggere la privacy delle persone intercettate», il 56,1 degli intervistati ha risposto di essere d’accordo. Non sono d’accordo meno di quattro italiani su dieci. Come a dire: se nel tritacarne mediatico ci finiscono attori, starlette, veline e calciatori, va beh, pazienza. Se però uno schizzo di fango rischia di macchiare la cravatta di un signore del Palazzo, allora ci si deve fermare. Quasi sei intervistati su dieci si chiedono ora dov’era l’Authority quando sui giornali si leggevano le intercettazioni del Savoia e delle tante starlette tirate in ballo dal poco regale Vittorio Emanuele. Quasi cinque su dieci (il 46,7 per cento) ritengono che le nuove norme, di fatto, siano un vero e proprio provvedimento ad personam.
E c’è di più: per il 51,4 per cento degli intervistati il Garante è stato sleale con gli italiani. Ma il risultato quantitativamente più evidente è il generale «no» a qualsiasi tipo di bavaglio: i media devono dare le notizie. Anche se sono sconvenienti; anche se riguardano il potente di turno. Il rifiuto alla censura arriva da ben il 65,5 per cento dei cittadini. Quasi sette su dieci pensano che «i giornali hanno il dovere di pubblicare le notizie, anche se sono compromettenti, che riguardano gli uomini del governo o vicini al governo». Non è d’accordo con questa affermazione il 37,8 per cento.
Certo, nel pubblicare atti giudiziari che contengono intercettazioni telefoniche, spesso si calpesta l’immagine di chi è coinvolto, sia esso l’intercettato o soltanto l’interlocutore. Sovente si mettono in imbarazzo persone che subiscono così una sorta di pena accessoria e preventiva; un innegabile difetto del sistema. Di chi la colpa? Anche su questo punto gli italiani sembrano assolvere, o quanto meno non condannare, i giornali. È colpa «dei magistrati che si fanno sfuggire o forniscono la notizia», dice il 24,7 per cento degli italiani.
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