Un sonno a due facce per un letto a due piazze

Rivedo mio padre e mia madre dormire insieme: due modi oppo­sti di affrontare il sonno, i sogni e la vita. La not­te racconta la vita più del giorno e scopre l’infan­zia anche nei vecchi

Un sonno a due facce per un letto a due piazze

Mi sveglio e risale negli occhi una scena che vidi per anni. Rivedo mio padre e mia ma­dre dormire insieme. Mia madre dormiva qua­si seduta sul letto, come se volesse fuggire dal sonno, catturata a sorpresa dalla stanchezza, ma si notava la sua resistenza. Viveva il sonno come il travaglio di un parto e una guerra col buio. Pativa il dormire come un cedimento, una caduta nell’abisso notturno, lei che amava la luce e si addormentava chiedendo spiragli dalle finestre. Era impaziente del giorno.

All’opposto mio padre cercava il sonno ran­nicchiato in posizione fetale, come se aspettas­se di nascere, con le bende sugli occhi per con­segnarsi alle delizie del buio e le mani in testa per concentrarsi sul viaggio. Elemosinava il sonno, dormire era per lui il riscatto del vivere, ristoro del corpo e dell’anima,assaggio di beati­tudine.

Di notte mia madre temeva i demoni, mio pa­dre aspettava gli dèi. Mia madre a volte si lamen­tava nel sonno, aveva gli incubi; mio padre qua­si sorrideva, come sognando puerili delizie. Il loro rapporto col sonno narrava a contrario il loro rapporto con la vita: mio padre voleva sfug­gire alla realtà e alle sue durezze, temeva gli urti e non reggeva le lacerazioni, rifugiandosi nelle chimere. Mia madre amava la vita alla luce del sole, il risveglio era un sollievo, il giorno una benedizione; temeva il buio e la solitudine, i fan­tasmi dei morti che vengono di notte. A volte era visitata da sogni profetici. Due modi oppo­sti di affrontare il sonno, i sogni e la vita. La not­te racconta la vita più del giorno e scopre l’infan­zia anche nei vecchi.

Accanto l’una all’altro per sessantadue anni, la partoriente forzata e il partorito che sogna di rientrare nel grembo notturno. Li spiavo quan­do tornavo tardi a casa. Poi mio padre restò solo nel letto; dormiva smarrito, abbandonato, sem­pre bendato per propiziare la notte, ma non più rannicchiato, come disfatto, privato del grem­bo entro cui rientrare.

Ora quel letto è vuoto d’ambo i lati e io sogno i loro sonni. Li sogno insieme, altrove, così lontani, così vicini. Scusa­te l’interferenza, non c’entra nulla con le noti­zie del giorno, è il sogno di uno e di tanti, orfani stagionati...

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