«Sono il dottore delle moto e non ne ho mai avuta una»

Un suo vezzo è farsi chiamare dottorcosta. Che, per esteso, è Claudio Marcello Costa. Il dottore del motomondiale, quello che ha inventato la clinica mobile, che cura i piloti e in quasi quarant’anni ne ha salvati tanti. A bordo pista, ma protagonista anche lui. Conosce i campioni: «Sono come la loro mamma» dice davanti a una serie di spremute d’arancia, in un bar di Milano. Come la mamma, adora i suoi figli. E nel suo ultimo libro, Grand Prix college sostiene che il circuito sia «la scuola più bella che c’è». Anche se a qualche mamma verranno i brividi.
Com’è quest’asilo dei 300 all’ora? Uno scherzo?
«No no. È un campionato dove i ragazzi di 13-15 anni corrono tutti con la stessa moto».
Democrazia tecnologica?
«Così si vede davvero chi ha il talento: emerge il campione».
Ma perché parla di scuola? I circuiti sono anche pericolosi...
«Nell’ambiente delle corse il bambino incontra il mondo dell’emozione che, di solito, non riesce a esprimere. Per questi ragazzi, a differenza dei coetanei, il futuro non è minaccioso. Anche se possono ferirsi».
Sono più coraggiosi degli altri?
«Sanno che il loro futuro è quello e si sentono rassicurati: così sopiscono quell’istinto di ribellione, il disagio che sfocia nel bullismo».
Immaginerà che una mamma si preoccupi, però...
«Altroché. E la capisco benissimo. Io aiuto i piloti a correre ma ho paura: sono in apprensione come la loro mamma».
Nel libro c’è un’intervista a Valentino e parlate di figli. Lui non esiterà a farli correre...
«Valentino dice che gli piacerebbe anche una femmina. Però un maschio... E spiega che il talento, all’inizio, è informe. Come dire, se il suo papà fosse stato calciatore, probabilmente lui avrebbe giocato a calcio».
Ci è andata bene allora. Comunque anche lei è figlio d’arte...
«Sì. Il mio papà costruì il circuito di Imola. Frequento le piste dal ’49. La mamma mi teneva per mano. Finché a 16 anni sono scappato per cercare di salvare un pilota, e ho rischiato di morire».
Dov’è la sua casa?
«A Imola. La chiamo “il feudino”. Oggi ci vivo con la mamma e mio fratello».
Com’è fatta la clinica mobile?
«Ci sono otto posti letto. Ma molti vengono anche a mangiare: al Mugello siamo in 300».
I piloti vengono a pranzo lì?
«Sì, perché è l’unica zona neutra del paddock. Per loro la clinica mobile è una casa. Si ritrovano accanto Stoner, Melandri, Hayden, Valentino».
Non dica che Valentino e Biaggi mangiavano insieme...
«Valentino ci è venuto tante volte, fino al 2006. Oggi è troppo assediato dai fan».
E sedeva davvero allo stesso tavolo con Max Biaggi?
«No, in effetti no. Stavano separati. Però a volte ho tutti i campioni, ognuno in un letto».
Che cosa le dice un pilota quando arriva in clinica?
«“Voglio correre”. E allora la clinica diventa altare: è dove si compie il rito dell’eroe che risorge per inseguire il suo sogno».
Non le sembra di esagerare?
«Sì. Esagero...».
Nel mondo delle moto ci sono solo due dottori: lei e Valentino. Come ci si sente?
«Be’... la clinica mobile è un mito e io sono un personaggio. Mi spiace però: preferirei essere il mito».
Il dottor Costa è vanitoso?
«Eh. La gloria ti fa stare meglio nella valle della noia».
Una volta ha dichiarato che il suo pilota preferito è Mick Doohan. È vero? Non è Valentino?
«Diciamo che fra quelli che non corrono più...»
Il preferito è il preferito...
«Doohan. Si esaltava nel rischio: era portato a trascendere. Come gli eroi di Troia, che sono morti tutti, tranne uno».
E Valentino non si arrabbia?
«Ma io sono innamorato di Valentino. Anzi, come pilota è meglio: lui è l’eroe delle giuste opportunità. È Ulisse».
Ulisse torna a Itaca...
«Anche Valentino a volte trascende: come a Laguna Seca. Quando ha spiazzato Stoner».
Quanti interventi fate?
«Circa 700 al giorno».
Non si stufa a curare solo uomini?
«Ho curato qualche donna...»
Le ragazze con l’ombrellino?
«A loro mettiamo i cerotti ai piedi. Ma curo anche un paio di pilote, una è russa».
Ma lei va in moto?
«Mai andato».
Ma come... Neanche in motorino?
«Mai. Papà me l’ha vietato: né fumo, né moto, né aereo. Per fortuna s’è fermato lì».
Il divieto dell’aereo ormai l’avrà superato...
«Sì, grazie ad Agostini. Fu lui a portarmi in giro per il mondo».
È vero che salvò anche Graziano, il padre di Valentino?
«Sì. Cadde in curva a Imola. C’era Valentino piccolo. Ogni tanto qualcuno mi dice: “L’hai salvato, ma è strano...”. E io: “Ma era così già da prima”».
Perché si commuove sempre?
«Non si può non avere pietà del dolore».
E davanti al ferito che fa?
«Sono empatico: lo consolo».
Ma lei è un dottore. Cura davvero i piloti, non solo a parole...
«Si fidano molto di me. Capirossi era caduto in Olanda. Gli ho spiegato gli interventi che avrebbe dovuto fare e lui mi ha detto: “Guarda che sono venuto qui per farmi operare da te”».
E l’ha operato?
«Certo. Oggi mi mostra la cicatrice e ride».
Sarà stato riconoscente...
«Ogni anno mi fa un regalo. Provi a indovinare: un assegno, un quadro, un maiale».
Un maiale?
«Un maiale. Poi me lo mangio, ed è il maiale di Capirossi».
C’è qualcuno di ingrato?
«Eh sì».
Un nome?
«Facevo un podio degli ingrati. Ma i piloti si arrabbiavano e si cancellavano, così ho smesso. Però ce n’era uno che non si cancellava mai, Cardus. Alla fine mi è diventato simpatico».
Come si mantiene la clinica?
«Una parte di soldi arriva dagli organizzatori del motomondiale, un’altra dagli sponsor».
I piloti non vi sostengono?
«Non tanto. Qualche volta».
Cos’è, sono un po’ tirchi?
«Ma loro giocano a scacchi con la morte. Pensano: potrò spendere quei 100 euro, quindi sarò vivo».
È amico dei piloti? Uscite?
«Qualche volta andiamo a cena. Mi invitano a casa loro».
Allora non sono così tirchi. Chi la invita?
«Valentino, Doohan, Gramigni, Rainey, Roberts, Perugini, Dovizioso. Al compleanno di Melandri eravamo in quattro».
Vi frequentate anche quando il mondiale è finito?
«Poco. Però se qualcuno ha bisogno di cure lo porto a casa mia. Doohan è rimasto 3 mesi».
Ma li coccola così?
«Eh sì.

Gli do da mangiare bene, molti poi non vogliono più andarsene. Noboru Ueda mi lasciava una lista sul frigo».
Non dica che è stato ingrato...
«No no. Poi sono andato a Tokyo ed è stato un ospite generoso. Mi ha fatto anche da guida».

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