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«Sono Lazzaro Inzaghi, risolvo problemi»

Il bomber: «Ho risparmiato a Gilardino una settimana da incubo». Galliani: «Media stratosferica. E la Juve ha perso solo con noi»

Franco Ordine

«Trentuno punti in 13 gare sono una media stratosferica, la Juve ha perso solo con noi». Adriano Galliani, versione basket, in prima fila all’Armani jeans, ha voglia ad esibire le proprie cifre simboliche ma in un solo minuto ha recuperato dieci anni di vita e l’umore delle serate migliori. «Ero negli spogliatoi, davanti alla tv, sabato sera, prima ho sentito il boato dello stadio e poi ho visto la prodezza di Pippo», la confessione che forse aiuta a riepilogare meglio il destino del Milan, sull’orlo del precipizio fino al recupero e riacciuffato per i capelli da quel satanasso di Inzaghi, ribattezzato in modo singolare da Ringhio Gattuso.
Sabato notte, passata la paura, nel suo ristorante di corso Sempione, covo e ritrovo, in compagnia di Nesta e Vieri, Maldini e Rui Costa, Kalac e Shevchenko, tutti insieme appassionatamente a godere del pericolo scampato, Gattuso ha raccontato con gli occhi di chi ha visto un Tir attraversargli la strada e si è riscoperto sano e salvo, vivo. «Gliel’abbiamo detto quando Pippo è tornato negli spogliatoi, concluse tutte le interviste: sei il nostro Lazzaro, ci hai fatto alzare e camminare», la metafora sacra prestata al profano del campionato e del calcio italiano.
Un miracolo. Dopo quello scempio di errori a ripetizione che hanno immalinconito Gilardino e fatto esplodere come un tappo Pippo Lazzaro Inzaghi, santo protettore delle legioni milaniste. «Ho detto ad Alberto che nel calcio può succedere, non deve deprimersi, suo è il futuro, lui mi ha ringraziato alla fine, gli ho evitato una settimana da incubo», la confessione tenera del centravanti che ha perso due anni di carriera e infilato una serie nera di infortuni e disavventure prima di farsi restituire qualcosa dalla sorte. «Anche Bobo, all’una di notte, mi ha spedito un bel messaggino», fa sapere ancora San Pippo da Piacenza che non nasconde il suo umore nero, nerissimo, a Istanbul. «Non è bello quando ti scaldi per molti minuti e poi non entri», al suo posto toccò a Vieri giocare lo spezzone di sfida.
«Ma io rispondo così», è la sua versione: col Palermo saltò in braccio ad Ancelotti, qui ha atteso l’abbraccio e l’ammucchiata della panchina. «Per raggiungere quella palla mi son dovuto allungare, stirare, perciò mi son fatto male», racconta ma i controlli clinici non hanno alimentato l’allarme.
Ma non c’è solo Inzaghi a riempire la notte del Milan, colma di imprese balistiche («mi alleno sempre, a volte riesce a volte no», la chiosa di Pirlo) ma anche di errori ed omissioni («sì, c’è stato un errore in difesa», l’ammissione di Ancelotti). E di qualche scelta discutibile, come l’idea di utilizzare da Firenze fino al Lecce, in sei giorni, lo stesso nucleo di squadra, con un paio di variazioni dettate solo da infortuni e squalifiche (Simic, Stam, Kakà). Appena è riemersa la stanchezza, il Milan è rimasto sulle gambe.

«Ma c’è un problema terreno che bisogna risolvere, l’ho detto al nostro dirigente Galliani, tutti scivoliamo, la palla prendeva rimbalzi strani, così ho sbagliato un paio di gol fatti», è la denuncia, ennesima, che porta la firma autorevole di Shevchenko, il Pallone d’oro in carica che oggi vola a Parigi per consegnare la statuetta a Ronaldinho.

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