«Sono uno scrittore-killer che fruga nell’ombra Ma ho paura delle bambole»

Con un superbesteller come Il Suggeritore (uscito nel 2009 da Longanesi) Donato Carrisi si è conquistato il titolo di maestro del thriller italiano arrivando a vendere, solo in Italia, ben 250mila copie del suo romanzo esordio. Ora, dopo l’acquisizione del suo libro in ben 19 edizioni internazionali, riapre la partita con i lettori con Il tribunale delle anime (Longanesi) e la sua intenzione è di stupirli ancora una volta.
«La forza di questo titolo - ci spiega lo stesso Carrisi - è che non l’ho inventato: il “Tribunale delle anime” esiste davvero. È il nome che nel tempo è stato dato a uno dei più misteriosi dei luoghi vaticani. Quello che da secoli detiene i segreti della Penitenzeria Apostolica, ovvero quell’organo della Chiesa che si occupa dei crimini rivelati durante la confessione. Un tribunale che tecnicamente sarebbe solo “di grazia”, senza alcun potere giudiziario, e che prevederebbe “l’assoluzione” per quelle anime pentite che vi facciano ricorso».
Che protagonisti ha scelto per questa storia?
«Marcus è un profiler che basa le proprie indagini non sul metodo scientifico, ma sulle anomalie. Sono “inciampi” nella sequenza logica di una comune indagine di polizia, a volte costituiscono un passaggio verso verità differenti. Ma Marcus non è un poliziotto, non c’è un nome che lo identifichi, ma in epoche lontane quelli come lui erano conosciuti come i “cacciatori del buio”. Sandra è una fotorilevatrice della Scientifica, scatta foto sulle scene del crimine. Ricostruisce i casi attraverso i dettagli. Basta un oggetto fuoriposto perché improvvisamente cambi il significato di ciò che si ha davanti».
Che immagine di Roma ha cercato di dare ai lettori?
«Nel romanzo è una città maledetta, buia, segreta. È stata un’esperienza incredibile visitarla con un “cacciatore del buio”. Ho descritto luoghi che neanche io conoscevo, pur vivendoci da più di dieci anni. Chi ha letto in anteprima il romanzo mi ha detto: “È Roma ma non sembra Roma, fa un effetto strano”».
Si è mai sentito anche lei un «cacciatore del buio»?
«È inevitabile. Anch’io cerco le anomalie, sono quelle che rendono interessanti una storia. Fa più paura un thriller che ruota intorno a un coltello insanguinato... o a un baby-monitor?».
Lei crede nella banalità del Male?
«Non è il Male che è banale, è il Bene a essere troppo complicato».
Quanto l’analisi della scena di un crimine è una ricerca delle anomalie?
«Quasi mai lo è. Gli investigatori tendono a vedere solo ciò che è “in luce”, ma nell’ombra si annida spesso qualcos’altro. Pochi sono disposti a infilarci le mani».
È possibile raccontare un’altra verità riguardo a noti casi di cronaca che sembravano risolti?
«Proverò a farlo al Festival della Letteratura di Mantova il 9 settembre. Ho preparato uno spettacolo di mostri e delitti in cui proporrò la rilettura di note scene del crimine attraverso le anomalie».
Qual è la cosa che la spaventa di più?
«Le bambole!».
Quanto le ha sconvolto la vita Il Suggeritore?
«Quando mi dicono che il libro è diventato un “cult”, una sorta di thriller maledetto che i lettori di mezzo mondo ancora si tramandano col passaparola, mi viene da sorridere perché ripenso al momento in cui ho terminato l’ultima frase del manoscritto, quando la storia era ancora soltanto mia. Mi dissi che da quel momento forse sarebbe cambiato tutto. Se fosse andata male, se non avessi trovato un editore o se il pubblico non l’avesse capito, sarei tornato a fare lo sceneggiatore e punto. Ma se fosse andata bene, non avrei dovuto dimenticare chi ero e da dove venivo. In bilico fra la tenebra dell’anonimato e la luce del successo, credo che sia stato il momento più importante».
Ci sono progetti cinematografici in arrivo?
«Il Suggeritore diventerà un film. In fondo, è nato con questa vocazione. Non ho voluto cedere i diritti di realizzazione, ma partecipare attivamente al processo creativo e produttivo».
Come hanno risposto i mercati stranieri al suo debutto?
«I francesi in particolare hanno molto amato questo libro. Le Chuchoteur è ancora in vetta alle classifiche e ha vinto il Prix du Polar 2011. Altri paesi in cui è andato molto bene sono la Gran Bretagna e la Germania. A gennaio uscirà negli USA e avrà un padrino d’eccezione: Michael Connelly che l’ha definito “un girone infernale”. Quando mi è arrivata la mail del Maestro che si congratulava per il romanzo, non riuscivo a crederci».
Gli spagnoli sono stati gli unici a leggere il suo romanzo con il titolo che Lei aveva scelto in un primo momento e che poi è cambiato: Lobos...
«Lobos è la prima definizione di serial killer della storia. Fu coniata durante l’Inquisizione per indicare quegli individui che uccidevano senza motivo apparente, solo per il piacere di farlo. Titolo affascinante, che io volevo all’inizio, ma che richiedeva una spiegazione... e così si è deciso Il Suggeritore, molto più immediato. Per gli spagnoli invece Lobos, cioè Lupi, andava benissimo».


Lei è laureato con una tesi su Luigi Chiatti, il mostro di Foligno: fino a che punto Donato Carrisi non è stato più lo stesso dopo essere entrato nella mente di un serial killer?
«Non si entra nella mente di un serial killer, è lui che entra nella tua. In fondo, cerco di fare la stessa cosa con i miei lettori. Sono uno scrittore killer».

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