«Se parli con la maggioranza degli esperti, ti diranno tutti la stessa cosa: lo sport agonistico non fa bene». Elena Gigli questa verità l'ha sperimentata sulla sua pelle. Campionessa di pallanuoto, portiere della Nazionale, 32 anni, ha attraversato un calvario di patologie nate dallo sport, solo dallo sport. E descrive con chiarezza i meccanismi fisici e psicologici, ma anche i condizionamenti ambientali, che l'hanno infilata in questo tunnel.
«La mia storia inizia nel 2007 con una serie di problemi, scherzando dicevo alle compagne il mio braccio sinistro non funziona più, nel frattempo sono iniziati un fastidioso dolore all'anca e al ginocchio sinistro. Più del dolore, con cui un atleta è abituato a convivere, quello che mi dava fastidio era il fatto di sentirmi limitata a sinistra, era come se avessi una zavorra di venti chili. I medici lo avevano etichettato come una cosa genetica di poca importanza e stop». Così Elena va avanti, «ho iniziato a pensare che avevano ragione perché non avevo scelta. Nel frattempo la mia condizione fisica peggiorava, più mi allenavo e meno mi sentivo in forma. Allenarmi non era un piacere, ma una tortura. Dopo i mondiali di Barcellona ho toccato il fondo, ero piena di dolori, non riuscivo ad accettare che ore e ore di allenamento mi facessero sentire sempre più goffa e storta. Non riuscivo ad ascoltare le voci che mi dicevano che ero vecchia e non più in grado di giocare ad alti livelli».
Il problema, spiega Elena, è che «lo sport ad alti livelli porta il fisico a toccare i propri limiti. Non si tratta di fare fitness per il proprio benessere psicofisico, ma di competere portando il gesto atletico più vicino possibile alla perfezione. Va da sé che il volume, l'intensità e la ripetitività dell'allenamento non siano una passeggiata di salute per il fisico degli atleti».
L'usura dell'anca è un male classico, quasi inevitabile, dei pallanotisti: «Ma quando ho iniziato nessuno mi ha avvisato, credo che in nessuno sport i piccoli atleti vengano avvisati dei possibili danni fisici cui vanno
incontro».Anche nel suo caso, dietro, c'è la cultura del risultato a tutti i costi: «Ero un cavallo lanciato in corsa, tutti guardavano il talento, nessuno guardava che non avevo un core, una struttura che mi sostenesse».
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