Aveva preferito girare il mondo con la sua macchina fotografica, piuttosto che continuare a ritrarre modelle sullo sfondo di uno studio di posa. «La fotografia per Fabio era tutto - ricorda Isabella Polenghi, sorella del reporter, anche lei fotografa - avevamo iniziato insieme, ma poi lui ha scelto la cronaca internazionale. Io no. Fabio lo trovavi in ogni luogo ci fosse qualcosa da documentare». Amava raccontare Fabio Polenghi e lo faceva con la fotografia. Per trentanni ha fatto solo questo. Fino a ieri; voleva che il mondo vedesse quello che accadeva per le strade di Bangkok. Il fotoreporter milanese, ex studente dello Ied, il mondo lo aveva fotografato in lungo e in largo: dallEuropa agli Stati Uniti, dallAfrica allAmerica centrale e meridionale. Proprio in un viaggio nei Caraibi, sullisola di Cuba si riscopre regista. Un passaggio molte volte fin troppo breve: gira un documentario, «52 Linea Cubana», racconta la storia di un campione di pugilato e del figlio che lo aveva seguito fin da piccolo fra «ring e guantoni». Una storia in cui si riscoprono angoli di una terra lontana da «turismo e rivoluzioni». Ma la sua vita era la fotografia: così oggi scrutando nel suo curriculum sul web, si riscopre un uomo totalmente infatuato del suo lavoro. Il solitario Polenghi amava dire: «Luniverso del mio lavoro rappresenta in parte anche quello dei miei pensieri. Sono una persona curiosa e con interessi estremamente vari». Sguardo e occhi rimasti come quelli di un ventenne che inizia a fotografare il suo quartiere, per curiosità.
Quel quartiere milanese, in zona Ticinese, in cui viveva ancora con la madre Laura che saltuariamente riusciva a salutare non appena rientrava in Italia. Un professionista sempre disponibile ad ogni proposta di lavoro, a ogni viaggio, così come ancora oggi recita in suo curriculum.La sorella «Era ovunque ci fosse qualcosa da documentare»
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