Tanti anni fa nel profondo Veneto un barbone di nome Tullio mi diceva: «Mi vago a la stazzion dei treni e quando che riva un tren, mi conti cole dita: uno, du e tri. E se al tri el tren el fa tu-tu, mi so che Dio el ghe xe. Ma no succede mai. O che nol sona, o che l sona dopo, o che l sona al du, o uno e mezzo, o du e mezzo, o anca al mezzo, mai al tri».
Non pensavo che ci fosse qualcunaltro a pensarla così finché non ho letto Sorella di Marco Lodoli. È il trip di una certa Amaranta, situazione difficile alle spalle, mamma etilista, babbo morto, che senza credere in Dio si fa suora così, per scappare dalla realtà (ma allora, volendo, il vero trip è quello di un intero convento che manco se ne accorge). Lappuntita superiora le affida tredici bambini dellasilo, lei protesta, la superiora insiste. È il disastro. I bambini sono cattivissimi, perché ci hanno il desiderio, e siccome leducazione serve a togliere il desiderio e a indirizzare eunucamente verso un Dio eunuco lei sente di non essere una buona educatrice: loro dicono cacca cacca, spiaccicano le torte di compleanno, e lei va in crisi.
Compare poi Luca, bambino autistico, ovviamente adottato, con i genitori ovviamente in crisi. Ma Luca è un bambino magico. Prima tampona il sangue da un nasino, poi dice alla suora una parola, «sigaretta», e la suora sente di dover obbedire, se ne fuma una. Seguono la parola «ruba», ed ecco Amaranta alle prese con una scatoletta di salmone. Alla fine arriva la parola «uomo» e Amaranta esegue, diciamo con una certa soddisfazione.
Il libro è un sapiente mix tra una fiaba con i tre desideri e un racconto diniziazione alla Siddharta che si fondono nella storia di una cretina in un convento di cretine. Tanto cretine che, alla fine, Amaranta diventa madre superiora. Pensa un po tu.
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