da Roma
Lestamente, l’Udc manda avanti Mario Baccini, per salutar democristianamente il colpo di barra impresso a sorpresa da Silvio Berlusconi. Non se l’aspettavano, nel partito di Pier Ferdinando Casini, un colpo di scena così clamoroso, ma ne temono gli sviluppi. E dunque Baccini, quello con le carte più in regola ma che non polemizza più di tanto con Forza Italia, è amico di Casini ma non certo succube, è forte nel suo territorio e ha lanciato il «manifesto di Subiaco», ieri sera non ha perso tempo per giudicare «positiva l’apertura di Berlusconi alle riforme».
Dite che l’apertura alle riforme è soltanto un aspetto, e nemmeno il più eclatante, della «bomba» lanciata dal leader di Forza Italia? Gli è che nell’Udc, il timore che Berlusconi possa aprire un tavolo sulla riforma elettorale con Walter Veltroni, ma con due sole sedie, serpeggia da qualche settimana. Gli ammiccamenti tra i due sono noti. Così come la coincidenza di interessi tattici tra i due partiti dominanti sul proprio schieramento e spesso insofferenti dei rispettivi cespugli. Nel primissimo pomeriggio, a In mezz’ora di Raitre, Casini s’è lasciato sfuggire un «anzi, Gianni Letta sta già parlando con Veltroni», dopo aver generosamente auspicato che Berlusconi «attivi» il suo consigliere più fidato, perché «nella storia di Forza Italia ci sono le manifestazioni e i banchetti, ma se non ci fossero state le crostate di casa Letta non ci sarebbe nemmeno il fenomeno di Forza Italia».
La dichiarazione di Baccini suona come un invito alla pace e una richiesta di non cedere alle lusinghe esclusive del leader del Partito democratico. Lo scenario dell’«apertura alle riforme» è quello che l’Udc invoca da oltre un anno, dice il vicepresidente del Senato spiegando: «In questi giorni di riflessioni e diverse conversioni, assistiamo a prese di posizione di buon senso, talora lungimiranti. Ci auguriamo a questo punto che, una volta trovata la luce sulla via di Damasco, alle parole seguano i fatti e che non si tratti di mera tattica o ripicca ma della intenzione ad anteporre davvero gli interessi generali del Paese ad altre meno nobili dinamiche».
Insomma, sperano che le sedie del tavolo si moltiplichino almeno per quanti sono i partiti in Senato, dove «istituzionalmente» la riforma elettorale è in calendario. Pubblicamente anzi, Casini non arretra dalla sua sicurezza che Berlusconi «tornerà a dialogare», perchè «non ha la vocazione all’Aventino e ha sempre parlato con tutti». E fa mostra di non temere il nuovo «partito del popolo» né gli otto milioni di firme, «è tutta roba che appartiene alla sfera della propaganda» è tornato a far sapere a sera confermando che la sua linea non cambia, ora è «il tempo della politica per dare una prospettiva seria a chi dissente da Prodi». E trovare su questa linea anche Umberto Bossi conforta l’Udc, «ce lo aspettavamo» assicurano gli uomini di Casini.
Tutto ciò, rimarcando una sorta di equidistanza tra Fi e An, comunque escludendo decisamente un asse Fini-Casini. I due si sono rivisti dopo tanto tempo a Palazzo Grazioli per il vertice sulla sicurezza, «e da allora si sono sentiti un paio di volte, non di più». Fini potrebbe «arrendersi» da un momento all’altro «perché non ha sbocchi», confidano all’Udc, «mentre noi abbiamo più libertà di movimento»: c’è la sponda Mastella, perché no lo stesso Pd. Ma se Berlusconi stringe un patto di ferro con Veltroni? «Il pericolo c’è, e sarebbe pesante. Noi però, potremmo fare un patto con Bertinotti...».
Col buon senso che viene dall’essere un piccolo alleato ma amico di Forza Italia e dell’Udc, Stefano Caldoro a nome del Nuovo Psi avverte che «le posizioni di Alleanza nazionale e l’Udc sono utilizzate dall’Unione per attaccare Berlusconi. Questo dovrebbe bastare per consigliare a Fini e Casini di fermarsi».
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