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La sorpresa I biocarburanti verdi? Inquinano il doppio del petrolio

Evidentemente su questa Terra non si può mai stare tranquilli. Stai a vedere, adesso, che l’olio di soia o di arachidi fa male. Al fegato? Macché, al riscaldamento globale. Non è un problema di frittura: sono talmente poco «verdi» da inquinare, insomma, peggio del petrolio. Almeno è quanto rivela uno studio inglese sulle biomasse: in un anno, aggiunte a benzina e diesel, potrebbero aver raddoppiato le emissioni di Co2 rispetto ai combustibili fossili che vogliono sostituire. È il risultato (clamoroso) di una ricerca commissionata dall’associazione ambientalista Amici della Terra alla società di consulenza Scott Wilson del Regno Unito. Dove, per legge, da aprile dello scorso anno una quota del 3,3% di biofuel è stata inserita nei normali carburanti.
«Se si tiene conto dell’impatto totale della deforestazione» spiegano gli esperti, i risultati mostrano che i biocarburanti aumentano perfino «le emissioni di gas serra a causa del cambiamento di destinazione dei terreni, che, appunto, non sempre viene calcolato nelle statistiche ufficiali». Per la Ong, «in termini di emissioni, gli agrocarburanti già utilizzati in Gran Bretagna corrispondono a mezzo milione di auto in più sulle strade». Invece il governo ha sempre dichiarato giusto il contrario: «Il vincolo dell’Rtfo (Renewable transport fuels obligation) taglierà 2,5 milioni di tonnellate annue di Co2, equivalenti a un milione di auto in meno».
Totalmente differente lo scenario dipinto dagli Amici della Terra. «A partire da una stima ottimistica, in base a un cambiamento di destinazione dei suoli del solo 10 per cento, nell’ultimo anno i biocarburanti hanno prodotto emissioni per 1,3 milioni di tonnellate in più rispetto ai combustibili fossili». Tradotto, le energie rinnovabili ci inguaiano anche loro. Eccome.
In gioco, tuttavia, c’è un’altra variabile. I biocarburanti impiegati in Gran Bretagna derivano principalmente dalla soia proveniente da Brasile, Argentina e Stati Uniti. Paesi dove l’espansione della produzione di biofuel deve ricorrere a sempre nuove terre, sottratte alla aree agricole attuali, oppure agli ecosistemi naturali come la foresta tropicale. E proprio in queste zone, che immagazzinano enormi quantità di carbone, attraverso la trasformazione in campi per la produzione di agrocarburanti si libera il carbone conservato nelle biomasse o nel terreno.
Contestando fino a questo punto le virtù ecologiche dei combustibili alternativi, l’associazione britannica ricorda che anche un’altra recente indagine governativa, la Gallagher Review sugli effetti indiretti dei biocarburanti, aveva già messo in evidenza che l’impatto delle cosiddette «benzine pulite» avrebbe potuto rendere il loro bilancio climatico addirittura negativo. «Ma, tuttora, del cambio di destinazione dei suoli si continua a non tenere conto nelle statistiche ufficiali».
Prima conseguenza concreta: gli ambientalisti ora chiedono al governo di Londra «di sospendere l’obbligo di biocarburante» finché non avrà assicurato che riduce davvero le emissioni di Co2 anziché aumentarle. A dicembre, in coincidenza con la fase finale del negoziato in Consiglio d’Europa per il pacchetto Energia-Clima (approvato definitivamente in aprile) avevano fatto notare che «la decisione sulla direttiva che porta al 20% la quota di energia rinnovabile da raggiungere entro il 2020, nasconde purtroppo l’obiettivo specifico, nel settore trasporti, di integrare il 10% di biocarburanti nei combustibili fossili. Aspetto che concorre ad accelerare la corsa delle imprese europee verso nuove terre nei Paesi del Sud del mondo».

Ma allora si erano schierati contro «il ricatto di alcuni Stati membri» di voler ridiscutere al ribasso il margine di utilizzo dei tanto discussi agrocarburanti.

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