Sorpresa, l’industria vola E possiamo crescere del 3%

La notizia che nel primo trimestre di quest’anno il fatturato della produzione industriale italiana è aumentato del 3 per cento rispetto all’ultimo trimestre dello scorso anno contraddice la sensazione di immobilismo della nostra economia che si era diffusa, pochi giorni fa, prima delle elezioni amministrative, secondo cui l’Italia sarebbe il fanalino di coda della Comunità europea e dei paesi dell’Ocse nella ripresa economica, perché nel primo trimestre del 2011 il nostro Pil, il Prodotto nazionale lordo risulterebbe aumentato solo dello 0,1 % su quello del precedente trimestre, mentre negli Usa è aumentato dello 0,4%, dello 0,5 % nel Regno Unito, addirittura dello 1% in Francia e, autentico primato, dello 1,5% in Germania.
Questa benedetta crescita non si vede: come mai, mentre il fatturato dell’industria italiana è aumentato del 3% nel primo trimestre, Il Prodotto nazionale è cresciuto solo di un misero 0,1%, consentendo alle sinistre di affermare che il nostro governo è solo capace di tenere il rigore nei conti pubblici (per merito del ministro dell’Economia Giulio Tremonti), nonostante le promesse e le dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi sulle politiche di rilancio della ripresa? E quindi di trarne le conclusioni che Berlusconi, distratto dai suoi processi, sta guidando un governo incapace di fare una politica che favorisca lo sviluppo economico, che è, invece, in atto altrove?
La tesi della stagnazione economica come colpa del governo (piove, governo ladro), anzi del suo premier, ha certamente pesato nelle valutazioni di voto, specialmente nelle città industriali. E quindi è importante capire come si spiega questo divario di dati fra quelli sul Pil comparsi il 13 maggio, prima delle elezioni amministrative, e questi altri comparsi poco dopo, il 20 maggio. Non regge come spiegazione l’affermazione, indubbiamente corretta, che la industria non costituisce tutta l’economia, ma solo una parte di essa. Ciò è vero, ma fra il +3% del fatturato industriale e il +0,1% del Pil a cui esso contribuisce, c’è un rapporto di 30 a 1. Ed invece la produzione industriale a cui si riferisce l’indice Istat del fatturato è composta dalle industrie manifatturiere che sono il 18/19% circa del Pil e dalla produzione di energia che costituisce un altro 1,6% di esso: insomma poco più del 20%, cioè un quinto del Pil.
L’agricoltura, sistematicamente sottostimata a causa della povertà delle informazioni fiscali e della scarsa attendibilità di quelle sull’occupazione, vale il 2% del Pil mentre i servizi della Pubblica amministrazione valgono circa il 15%. Questi due settori non sembra siano diminuiti da un trimestre all’altro. Semmai sono rimasti stazionari, date le economie di spesa sulla Pubblica amministrazione. C’è poi l’industria delle costruzioni, che pesa per il 7 per cento, che potrebbe avere avuto un lieve calo trimestrale. Esagerando esso può arrivare al 5% con un’incidenza sul Pil dello 0,35%. Restano i servizi vari, che contano per il 40% del Pil e le imposte indirette che valgono un altro 15%. Una metà dei servizi riguarda le imprese e i servizi alle persone domestici e sanitari, che non sono in diminuzione, ma in aumento. Resta l’altra metà, circa il 20% del Pil, nei quali vi può essere un calo per consumi non essenziali, ma ammesso che esso sia del 3%, si tratterebbe di 0,6 punti di Pil. C’è qualcosa che non funziona, che non è chiaro. E sta di fatto che l’indice fisico della produzione industriale, che differisce dal suo fatturato, perché è in quantità e non in valore, è aumentato solo dello 0,1%. È possibile che il calcolo del Pil del primo trimestre sia stato fatto sull’indice fisico, meno significativo dello indice del fatturato, sottovalutando la crescita della produzione industria e quindi della nostra economia? Comunque la produzione di energia nel primo trimestre è aumentata dell’8,1% e ciò è indice di espansione della produzione e del consumo. Aggiungo che mentre il fatturato industriale nel primo trimestre è aumentato del 3% gli ordinativi sono cresciuti di oltre il doppio (il 6,3%) e che in marzo essi sono aumentati, su febbraio, dello 8,1% con un aumento del 3,7% per quelli interni e del 15,5% di quelli esteri.

Ossia abbiamo una crescita trainata dall’export, ciò che è indice di competitività, e del fatto che la politica internazionale del governo ha favorito l’espansione nei nuovi mercati. Non sembra questo, il quadro di una economia il cui Pil quest’anno sia destinato a crescere solo dell’1,1% al massimo.

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