Thomas Mann, considerava i suoi Buddenbrook una specie di romanzo farsesco. Quanto al Doctor Faustus, lo accettava magnanimamente, col sopracciglio alzato, in quanto allegoria piuttosto ben riuscita. Jorge Luis Borges, si pregiava soprattutto di essere un buon lettore. Il giovane Emilio Gadda definiva il proprio stile «noiosissimo» e «legnoso come la mia persona». Massimo Bontempelli schifava la sua opera teatrale La guardia alla luna. E don Lisander Manzoni era tuttaltro che soddisfatto di Fermo e Lucia.
Antonio Scurati non vuol essere da meno dei suoi illustri colleghi. Quindi avrà fatto salti di gioia quando il nostro collaboratore Gian Paolo Serino, motore immobile e molto spesso imballato di satisfiction.me, sito dedicato agli orizzonti perduti della letteratura di oggi, ieri e domani, gli ha chiesto, con i dovuti modi, di auto-stroncarsi. Inaugurando così unarguta rubrica che esordisce proprio questa mattina e che, dietro la pratica tafazziana di darsi bottigliate sui testicoli, chiama gli autori più in vista a esporsi con esercizi di stile (ci perdoni la buonanima di Raymond Queneau) democristianamente auto-celebrativi. Scurati, parlando del suo nuovo libro, La seconda mezzanotte, lo definisce «pretenzioso e programmaticamente ributtante». Già trattare di unipotetica Venezia del 2092, lascia intendere il Nostro, è un artificio retorico trito e ritritt. Inoltre (aggiungiamo noi) servire una messa cantata sul tema del tramonto dellOccidente, 94 anni dopo quel diavolo di Spengler, suonerebbe come una presa per i fondelli dellincauto e mal consigliato lettore.
«Si vuole futuribile lo Scurati de La seconda mezzanotte - salmodia lo Scurati medesimo -, si crede alla ricerca di una via contemporanea di accesso alla tarda modernità e, invece, cammin facendo, si scopre stanco epigono di più duna tra le più trite ideologie letterarie del sepolto Novecento. Sii sozzo, sarai vero, predicava Cioran, e lui lo prende alla lettera». Darsi del pirla prendendo a braccetto Cioran, oggettivamente, non è male. È uno Squartamento in sedicesimo. Roba fina, roba da intellettuali serenissimi, algidi e, diciamolo, un tantino supponenti. Se poi aggiungiamo, fra lusco e il brusco, un pizzico di «travaglio hegeliano», ecco che lauto-stroncatura, condotta in punta di penna e con falsa modestia, si abbassa subito al livello di auto-recensione. «Alla fine scoprimmo che non esistono antidoti, solo veleni più lenti, vi si legge. È lunica riga condivisibile de La seconda mezzanotte. Perché qui il libro sta parlando di sé», conclude Scurati. Capito lantifona?
Nel solco dello Scurati, annuncia quella vecchia volpe del Serino dalla sua tana non ricordiamo se twitteriana, facebookiana o entrambe, si muoveranno a stretto giro di posta elettronica altri scrittori. «Lontano dalle passerelle di carta, dai confessionali televisivi e dai tinelli catodici dei nostri pomeriggi postmoderni (dove tutto più che vero sembra ormai diventato Verissimo) - ammicca il Gian Paolo - lonestà intellettuale è lultima speranza che rimane alla letteratura per diventare non eco, ma Voce». Parla come un libro stampato. Ci è o ci fa? A occhio e croce, «ci è». Ci crede davvero, pensa che gli interpellati possano, prendendo adeguata rincorsa, saltare gli steccati dei loro angusti orticelli editoriali. E in questo si mostra più idealista che critico e cacciatore di inediti finiti in soffitta.
Dopo Scurati, sotto a chi tocca. Tipo Edoardo Nesi e Joe Lansdale. Una voce della nuova narrativa italiana e un assiduo frequentatore di «generi». Due «generoni», direbbero a Roma. Sarà difficile, per loro, fare meglio del professor Scurati, oscurarsi illuminandosi senza darlo a vedere, promuoversi bocciandosi a pieni voti. Lauto-denigrazione è unarte sottile e a doppio taglio, occorre tenere saldamente il coltello dalla parte del manico per non ferirsi.
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