Sotto quei buffi parrucconi c’è una nuova idea del bello

Il ’700 non è solo il secolo dei parrucconi dipinti e scolpiti, delle trine e dei merletti. È anche uno dei secoli di maggior forza intellettuale e attualità. È il secolo della ragione, che si interroga sulla libertà dell’uomo e tenta di affrancarsi da oscurantismi e pregiudizi antichi. In arte significa ricerca di un’espressione autonoma, che non debba rispondere a regole precostituite.
Critica all’artificiosità del Barocco, che aveva caratterizzato il ’600. In tutta Europa, agli inizi del secolo, si tende infatti a reagire alle forme roboanti ed eccessive, per un’arte più leggera, chiara, semplice, che rispecchi la natura. Una natura immaginata, ordinata, leggiadra, di sogno, riflessa in pittura da temi arcadici e pastorali, e in architettura da effetti scenografici e illusionistici, con decorazioni in stucco colorate e dorate. È il rococò, dal francese rocaille, uno stile definito con un termine che richiamava le conchiglie e le pietre scolpite nelle grotte dei giardini. Dalla Francia, il rococò si diffonde in tutta Europa, grazie alla circolazione degli artisti e delle maestranze artigiane.
Cambiano centri ed equilibri. L’Italia vanta ancora ottimi artisti ed è meta di viaggiatori e collezionisti alla ricerca di antichità. Ma il primato artistico va alla Francia, mentre la riflessione teorica sulle arti non è più prerogativa italiana, ma anche tedesca, inglese e francese. La formazione artistica dei giovani europei, aristocratici e benestanti, avviene attraverso il Grand tour, un itinerario di studio in Europa, alla scoperta di luoghi e opere d’arte.
Tra le conseguenze dei viaggi, la grande diffusione del genere della veduta, nato verso la fine del ’600, ma molto ricercato sul mercato settecentesco. Città come Roma, Venezia, Napoli, attirano artisti e mercanti. Roma e Napoli diventano luoghi privilegiati, grazie agli scavi. Dalla terra riemergono statue, ville, intere città, come Ercolano e Pompei, che richiamano intellettuali italiani e stranieri. Nasce addirittura una pittura di rovine, il «ruinismo», con specialisti come il tedesco Jakob-Philipp Ph. Hackert, il francese Claude-Joseph Vernet, l’italiano Giovan Battista Piranesi e tanti altri.
Il gusto per l’antico è determinante per la seconda metà del secolo, quando artisti e teorici guardano alla purezza dell’arte romana e greca per reagire non solo al Barocco, ma allo stesso rococò, considerato superato e lezioso. Si afferma così il Neoclassicismo, la nuova estetica fondata dall’archeologo tedesco Johann Joachim Winckelmann e dal pittore boemo Anton Raphael Mengs.

Il ritorno alla bellezza antica, al «bello ideale», attraverso l’imitazione o l’assimilazione dei modelli classici è una svolta ambiziosa, adottata da Jacques Louis David e Antonio Canova, e destinata a durare sino all’800.
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