Vi siete accorti che il modello femminile sono diventati i trans? Le avete guardate le pupe televisive, le troniste, le ragazze televisive più o meno cresciute che popolano in televisione? Hanno i labbroni, hanno le tettone, sono rifatte come se non fossero mai state fatte, hanno dei french alle mani terribili, sono simili ai trans che sono così perché, già che ci sono, esagerano. Credono che il trans abbia successo perché è l’esagerazione della donna, e viceversa la donna televisiva oggi è la copia di un trans che è la caricatura di una donna, e quindi si staranno attrezzando anche sotto?
Non so, a me la domanda «Sei etero o sei omo?» mi ha sempre fatto l’effetto di quando ti chiedono se preferisci il mare o la montagna, o da piccolo per quale squadra tifavo, non mi sono mai posto il problema. Come rispondeva Marcel Duchamp quando gli chiedevano se credeva in Dio: «Per me c’è qualcosa oltre al sì, no o indifferente, e è per esempio l’assenza di una problematica di questo genere».
L’identità sessuale è una triste invenzione novecentesca, ve lo immaginate un Grillini che parla dell’Arcigay dentro Le centoventi giornate di Sodoma? O la menzione di un Family Day nella corrispondenza tra la marchesa di Merteuil e il Visconte di Valmont? Eppure quanto si chiacchierano addosso i burocrati erotici in materia di sessualità: nel tentativo di normalizzare quella altrui senza accorgersi dell’arbitrarietà della propria, cosa che richiama sempre la saggezza fantasy della pagliuzza e della trave. Così la Chiesa ce l’ha con gli omosessuali (ma anche con gli eterosessuali non «procreativi», sebbene si chiuda un occhio con tutte le pagliuzze e le travi annesse), gli omosessuali ce l’hanno con la Chiesa perché non li accetta (come se uno juventino volesse entrare in un club di milanisti), i trans ce l’hanno con gli omosessuali perché pensano solo ai fatti loro e Aldo Busi ce l’ha con chi va a trans perché secondo lui chi ci va è un omosessuale represso (le tette sono un alibi etero), quindi neppure il libertino è libertario.
Sarebbe tutto più semplice se si ammettesse la totale natura di suggestione simbolica dell’erotismo umano, perché nessuno saprebbe scientificamente definire cos’è l’erotismo umano, né perché se ti piace un alluce sei un feticista mentre se ti piacciono le gambe o il culo no. Senza contare che è difficile trovare due feticisti di qualcosa che abbiano gli stessi gusti su quella stessa cosa, un feticista del trampling e uno del dangling (cito due categorie fetish popolari sul web), sono due universi più lontani che un etero da un omo e un omo da un trans.
Sarà per questo che il racconto di Jonathan Littell da cui Nottetempo ha tratto un mini-libro si intitola Racconto sul niente, perché in verità non c’è niente da dire, mentre nella verità della falsità ci sono tante cose tutte bellissime perché insostanziali. Bugie ma fondamentali, favolose illusioni come il tacco a spillo, la giarrettiera, le autoreggenti, la biancheria intima di pizzo, lo smalto rosso, il rossetto, le minigonne, e ogni armamentario da lingerie o sexy-shop o anche da banalissima profumeria. È il libro di Littell porno-filosofico che speravate di leggere quando, dopo il suo capolavoro, Le benevole, è uscito Il secco e l’umido, io credevo parlasse del calo del desiderio femminile e era un saggetto sul nazifascismo. Qui invece il passaggio fondamentale è quando l’io narrante va in giro per la città con l’intimo da donna sotto i vestiti da uomo, l’ebrezza di essere l’uno o l’altro e sentirseli sotto i vestiti, sotto la pelle, incarnando entrambe le illusioni, entrambe le finzioni. E così, scrive Littell, «a volte indossavo biancheria intima da donna - calze, fini mutandine di pizzo nero, reggiseno imbottito -, a volte insieme un abito leggero, a volte senza, e osservavo a lungo in tutti i particolari quella bella figura femminile».
È il paradosso dell’eterosessualità: se ti ecciti per l’altro da te, come non desiderare di esserlo? Come non sentire l’ebrezza di diventare ciò che ci eccita? Quale altro modo di «possedere» una donna che diventarla? E poi andarsene in giro con il brivido di questa verità nascosta, come un vampiro in borghese: «Mi piaceva anche uscire così, con quella biancheria di pizzo sotto i vestiti: mi dava una sensazione strana, leggera e ondeggiante, come se entrambi i sessi passeggiassero insieme nel mio corpo per la città».
Cosa che nessuna donna potrà mai capire, perché «per loro, quei lievi strati del corpo non aggiungevano nulla, non toglievano nulla, erano semplicemente nude o vestite, con o senza artificio, perfino in abiti rozzi, o maschili, rimanevano donne; quei pezzi di stoffa, che a me facevano perdere la testa, per loro erano semplicemente naturali come la pelle, erano semplicemente la grana della loro vita, qualcosa di delizioso e carezzevole, forse, ma di cui potevano fare a meno».Insomma, questa non è una recensione ma la risposta alla domanda finale dell’autore che dichiara di non sapere cosa significhi il suo racconto, tanto per stuzzicare i vetero-freudiani.
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