Cultura e Spettacoli

Sottolineo dunque comprendo

Asterischi, punti esclamativi, frecce: simbologia delle note a margine

Di norma, lo si fa con una matita. Che talvolta, però, non basta: occorre sia anche morbida, assolutamente ben temperata (è il caso, ad esempio, di Enzo Siciliano) o copiativa, eventualmente accompagnata da una cartolina o da un righello trasparente: svariati, perfino bizzarri gli attrezzi che compongono il kit del serio lettore nell’atto di sottolineare. Alcuni di loro calcano le righe al limite della cancellazione: tali erano Roberto e Armanda Guiducci, devastatori di pagine e pagine. Altri se le ripartiscono secondo gerarchie categoriali, utilizzando evidenziatori a varie tinte. Altri ancora accompagnano il gesto con richiami negli spazi bianchi: asterischi, punti di domanda o esclamativi, frecce e freccine. O si sono inventati ideogrammi, simboli e simbolini che vanno a costruire un personale, unico, autoreferenziale codice. E dispongono funghetti, pesciolini, lunette o solicelli, ricchi e strani segnali di approvazione (notevolissimi, gli occhiali stilizzati di Silvia Bre), disaccordo, disgusto. Insomma: il libro non ci si limita a scorrerlo e leggerlo e rileggerlo ma, spesso, lo si deve anche sottolineare, chiosare fino a impestarlo di noi stessi. Se la scrittura è la traccia del senso, la sottolineatura ne è la super o contro-traccia, una sorta di surplus significativo imposto a righe e concetti. E dunque rappresenta la prima manifestazione tangibile della comprensione, l’avvio d’una ermeneutica che, al caso, proseguirà ad interim. Sottolineare, infatti, è anche riscrivere sopra quanto è già stato scritto, e sovrapporre, imporre nuove intenzioni. Facendo ricorso a una segnatura in verità ambigua e paradossale perché, a ben vedere, non è ancora scrittura ma nemmeno pensiero puro. Un ibrido bicefalo, allora: né Logos né Gràmmata. Che tuttavia vivifica, riattualizza, complica il testo nel momento stesso in cui lo marchia, lo rende già pensato, già letto, già usato, passato. Varia, talvolta inquietante la gamma delle motivazioni (consce, meno consce, censurate) di chi sottolinea: volontà di ribadire idee, di partecipare dialogicamente al testo, esibizione di vis polemica silenziosa o di torve, diffuse scontentezze. Entusiasmi, adesioni, critiche e inimicizie precipitano, dunque, in tratti di matita (viene da dire, parafrasando qualche filosofo del linguaggio: in atti di matita) che, talvolta, debordano nell’antisocialità più ottusa: assolute sono la stizza, il senso di impotenza avvertiti nell’attimo in cui, aprendo un volume in biblioteca o un libro acquistato di seconda mano, lo si trova zeppo, madido di segni, già visitato e deflorato. Ma nulla vale il piacere di compiere in proprio un’operazione sospesa a metà tra l’istinto animale che tende a lasciare residui di sé, a indicare territori e l’acribia paziente del chiosatore quando abbozza commentari. Atto complesso, il sottolineare: privato e nello stesso tempo invasivamente esposto a sguardi, curiosità, maledizioni, livori.

Sul quale andrebbero scritte storie, organizzati musei, preparate classificazioni, cataloghi, tipologie, topologie.

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