Spadare, l'Unione europea condanna l'Italia

La Corte di giustizia europea del Lussemburgo ha condannato l'Italia per l'uso diffuso delle «spadare», proibite in tutta l'Ue dal 2002. Per i giudici europei l'Italia non ha provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare l'esercizio della pesca per assicurare, così come previsto dalle norme Ue, il rispetto del divieto di detenzione a bordo dei pescherecci di reti da posta derivanti, le cosiddette spadare, e del loro utilizzo.
Questo tipo di pesca illegale, il cui principale obiettivo è il pesce spada, è molto pericoloso per la conservazione di tartarughe, piccoli delfini, capodogli o balenottere che possono finire nella rete. Nel solo Mediterraneo è stato denunciato, a più riprese, la morte di migliaia di piccoli cetacei dovuta all' uso delle spadare. Le norme comunitarie avevano vietato già dal 1992 le reti da posta derivanti di lunghezza superiore ai 2,5 chilometri e poi dal gennaio 2002 l'uso di spadare di qualsiasi lunghezza. Ma da una serie di ispezioni, seguite a dettagliate denunce, la Commissione europea aveva accertato che in Italia pochi controlli e molte infrazioni consentivano ancora un largo uso di queste reti.
Da qui la decisione di Bruxelles di contestare all'Italia una serie di carenze. Dando ragione all'esecutivo Ue, la Corte del Lussemburgo sottolinea nella sentenza che, nonostante il divieto, era «frequente, abituale e largamente diffusa» la detenzione a bordo dei pescherecci di reti da posta derivanti ed il loro uso. Inoltre, si legge ancora, le autorità italiane non hanno attuato un'azione efficace per reprimere le violazioni.
L'Italia, secondo i giudici, infatti non ha «provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l'applicazione di sanzioni dissuasive». Nel solo periodo tra il 2003 e il 2006 le sanzioni inflitte sono state definite scarse e le ammende amministrative non hanno superato un importo pari a mille euro. Anche il numero delle reti sequestrato è ritenuto decisamente ridotto.

«Ci auguriamo che la condanna europea possa, finalmente, servire ad avere ragione una volta per tutte di una pratica illegale che mette a repentaglio tanto la biodiversità marina, quanto altre economie di pesca», ha commentato il vice presidente di Legambiente, Sebastiano Venneri.

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